Dischi 4 - Macallè Blues

Vai ai contenuti

Menu principale:

News & Revues > Recensioni

Recensioni: dischi...

BILLY PRICE & OTIS CLAY

"This time for real"

Vizztone Rec. (USA) - 2015

Somebody's changing my sweet baby's mind/I'm afraid of losing you/Going to the shack/All because of your love/Love don't love nobody/I'll never do you wrong/Don't leave me starving for your love/Broadway walk/Book of memories/Too many hands/Tears of god/You got me hummin'

L’uscita di questo bel disco ci offre una doppia opportunità: ricordare nuovamente Otis Clay, leggenda del soul, a pochi mesi dalla sua scomparsa e parlare di Billy Price, interprete soul di pregio, mai adeguatamente premiato in quanto a fama e riconoscimenti.
Billy Price e Otis Clay già si incontrarono e collaborarono artisticamente più volte in passato; sul palco e su disco (un primo cameo di Clay lo si ritrova in The Soul Collection e, un secondo, in Night Work, entrambi dischi di Price). This Time For Real, invece, rappresenta l’ultima registrazione ufficiale di Clay, ma anche la sua prima collaborazione discografica completa con Billy Price; dunque - e finalmente - un disco intero a due voci.
Di Clay ben si conoscono i natali mississippiani e gli esordi vocali partiti, come sempre, dalla sacra culla del gospel e divenuti, via via, più profani senza, tuttavia, scordarne mai le origini churcy. Di Billy Price, cantante soul, invece, conosciamo l’iniziale collaborazione come vocalist nella band del mago della chitarra Roy Buchanan e i successivi esordi da solista risalenti ai primi anni ’80 con un disco che profeticamente traeva il titolo da uno dei primi cavalli di battaglia di Otis Clay, quel Is It Over, brano scritto da Sam Mosley, presenza costante nel repertorio di Clay. In un certo senso, mentre Billy Price forse corona, incidendo questo disco, il sogno di una vita, Clay conclude la sua laddove, sebbene per trasposizione di brani, era cominciata e con un simbolico riconoscimento al merito e al valore di Price.
Billy Price è un tenore acidulo, dall’ampio, teso vibrato; ben si mescola alla cifra vocale di Otis Clay, ruvida e di grana grossa, ma dai riflessi melodici improvvisi e sorprendenti. Partiti da questi presupposti, i due realizzano un lavoro squisitamente ben amalgamato che muove dall’iniziale, giubilante sprone di Somebody’s Changing My Sweet Baby’s Mind, brano inciso dal misconosciuto Johnny Sayles, e si chiude con una robusta versione di You Got Me Hummin’, scritto da Isaac Hayes e scolpito a eterna memoria nel più classico repertorio della Stax di Memphis dal duo Sam & Dave. Tra questi estremi, i nostri due cantanti si muovono agili su un repertorio che spazia dal funkeggiante Goin’ To The Shack del pure mississippiano Syl Johnson fino a quel divertente, ironico elenco di sventure elencate dalla penna di Joe Tex che accadrebbero all’autore in caso non tenesse fede alla promessa dichiarata dal titolo (I’ll Never Do You Wrong). Memphis torna protagonista grazie a quel ritratto compiaciuto dell’amante filosofo che è Too Many Hands, scritto da Teenie Hodges, ben noto chitarrista di casa Hi Records, mentre il country fa capolino in quel delizioso acquarello che è Book Of Memories. Ma è quando il ritmo rallenta che il melodico, sibilante sillabare di Clay unito alla sensibilità interpretativa di Price producono i sfrutti più succosi. In questo senso, I’M Afraid Of Losing You diventa fragile, vibrante confessione laica, così come il moderno spiritual Tears Of God dei Los Lobos che, qui, viene rievocato con profondo, fervente abbandono. Un altro classico di Clay, Love Don’t Love Nobody, già pezzo di punta degli Spinners, rivive qui in un’interpretazione dove il racconto viene proposto con un tono di raro, rassegnato abbandono e con un Billy Price, sul finire, impegnato in un’ intima confessione parlata. Non secondaria nella riuscita di questo disco, la band di Duke Robillard al gran completo, ad un tempo fondamentale e discreta nell’economia complessiva dell’opera. G.R.


FIONA BOYES

"Box & dice"

Reference Rec. (Usa) - 2015

Juke joint on Moses Lane/I'm a stranger here/Walking round money/Smokestack lightning/Louisiana/Black mountain blues/Mama's sanctified's amp/I done quit/Walk with me/Tiny pinch of sin/Easy baby


In anni recenti l’Australia, soprattutto grazie al pionieristico tramite del chitarrista Dave Hole, che a lungo ha inciso per un’importante etichetta del settore come la Alligator, ha espresso alcuni talenti nel campo del blues. Uno di questi è sicuramente Fiona Boyes. Al pari di Hole devota della tecnica slide, Fiona è stata definita, in passato, come la “gemella cattiva” di Bonnie Raitt. Questa definizione, ancorché, per certi versi, risibile contiene in sé un nucleo di verità. Se la Boyes è sì, come la Raitt, chitarrista slide, cantante e autrice, i parallelismi, a mio modo di vedere, si arrestano tuttavia qua. Fiona Boyes, a differenza di Bonnie Raitt infatti, ha uno stile molto più oscuro e misterioso, profondo ed energico, ma di un’energia esplicitamente sinistra ed evocativa. Inoltre, questo suo ultimo Box & Dice rappresenta un esperimento strumentale che vede salir sul proscenio, oltre alle sue usuali chitarre, alcune artigianali cigar-box guitars (costruite da Shayne Soall della Oz Blues and Roots Music Store) che la Boyes suona utilizzando bottleneck ricavati da diverse piccole bottiglie di liquore e, soprattutto, una rara chitarra baritono National Reso-lectric di costruzione pure artigianale e con un unico esemplare gemello, chissà se “buono” o “cattivo”, al mondo. Il risultato, è questo agile dischetto registrato nella classica e snella formazione a trio, chitarra, contrabbasso e batteria. Fiona Boyes, qui, mescola gli stili e passa magistralmente dal Delta allo swamp al Piedmont blues, dal Texas shuffle alla Chicago post bellica. Non c’è da stupirsi se la Boyes, forte anche del suo robusto songwriting, sia stata nominata per i Blues Music Awards e sia stata la prima donna, nonché prima australiana a vincere, nel 2003, l'International Blues Challenge.         

In questo disco, che prende il titolo da una delle sue cigar-box guitars, Fiona Boyes esplora, oltre agli stili citati, le varie sonorità delle sue chitarre quasi a sceglierne la personalità e il timbro più adatti alle varie canzoni. Già nell’iniziale Juke Joint On Moses Lane si avverte il contrasto tra l’acidulo abbozzo con la cigar-box guitar e il prosieguo del brano sul suono più ricco e profondo della chitarra baritono. Il tema del sentirsi straniero, tanto comune nel bluesman visto come rambling man, si affaccia in I’M A Stranger Here, in termini di spettrale drammaticità, con la dilatata interpretazione e la presenza simbolicamente significativa della sola cigar-box a fare da controcanto, da superficie riflettente all’aleggiante senso di straniamento. L’accattivante, scanzonata Walking Round Money così come l’arguto racconto di Mama’s Sanctified Amp sono tra gli episodi più freschi e vivaci. In mezzo alla generosa dose di brani originali, poi, c’è spazio anche per una manciata di cover tra le quali spiccano una muscolare Smokestack Lightning e una suadente, sensuale Easy Baby, rispettivamente tratte dai sacri testi di Howlin’ Wolf e Magic Sam. G.R.


ANTHONY GERACI AND THE BOSTON BLUES ALL-STARS

"Fifty shades of blue"

Delta Groove Rec. (Usa) - 2015

Everything I do is wrong/Fifty shades of blue/Sad but true/Heard that Tutwiler whistle blow/If you want to get to heaven/Don't keep me waiting/The blues never sleeps/Too late for coffee/Diamonds and pearls/Cry a million tears/In the quicksand, again/Your turn to cry/Blues for David Maxwell


Pianista sopraffino e di grande esperienza Anthony Geraci. La sua biografia muove da una formale educazione musicale, conseguente a una precoce attitudine per il piano, acquisita presso il celeberrimo Berklee College of Music di Boston. Da lì, la sua carriera artistica lo ha portato a incidere, prima, con alcuni giganti del genere come Muddy Waters, Big Joe Turner, Jimmy Rogers, Hubert Sumlin e a essere, poi, cofondatore dei Broadcasters del chitarrista Ronnie Earl e dei Bluetones dell’armonicista e cantante Sugar Ray Norcia; band, quest’ultima, della quale fa ancora parte dopo quarant’anni di ininterrotta militanza.

Con questo Fifty Shades Of Blue firma la sua prima opera solista supportato, come dichiarano correttamente i sottotitoli, da un’autentica all-stars band che comprende Sugar Ray Norcia, Darrell Nulish, Michelle “Evil Gal” Wilson e Toni Lynn Washington a spartirsi le parti vocali; più, i Bluetones quasi al gran completo con Mike Welch alla chitarra e Michael “Mudcat” Ward al basso e Neil Gouvin a rimpiazzare, solo in un paio di brani, alla batteria, il titolare Marty Richards. Il risultato è veramente blue nelle sue cinquanta sfumature. Geraci, come detto, non canta e, del resto, non ce ne sarebbe il bisogno, dati il suo pianismo fluido, orchestrale e la presenza di tutti quegli ottimi cantanti, ognuno dalla spiccata, peculiare vocalità tanto che, ogni singolo brano, pare scientemente affidato al cantante cui meglio calza addosso. Così, l’iniziale tono minore di Everything I Do Is Wrong come quasi tutte le altre “sfumature” più blues presenti nel disco (The Blues Never Sleeps e Cry A Million Tears) vengono assegnate alla perentoria, autorevole voce di Darrell Nulish; le atmosfere più colloquiali, crepuscolari (Don’t Keep Me Waiting, Your Turn To Cry o il delizioso country Too Late For Coffee), come quelle più devote al suono della Chicago anni ’50 (Sad But True e Heard That Tutwiler Whistle Blow) vengono affrontate dalla mescola sicura e cremosa del crooning di Sugar Ray Norcia. Il bruno, ombreggiato, profondo contralto di Toni Lynn Washington interpreta solamente lo stiloso Diamonds And Pearls. In un programma di brani interamente scritti da Anthony Geraci, c’è spazio anche per un paio di strumentali che bene mettono in risalto il suo pianismo: lo shuffle In The Quicksand, Again e il conclusivo Blues For David Maxwell, toccante, devoto omaggio a un altro grande pianista recentemente scomparso. Menzione particolare per l’intensa chitarra di Mike Welch, profonda e vibrante nel condurre verso personali, estremi sviluppi la lezione di Otis Rush, in primis.
Gli amanti del piano blues e di tutte le sue sfaccettature stilistiche avranno, qui, di che soddisfare i propri fini palati. G.R.  


JOHNNY RAWLS

"Tiger in a cage"

Catfood Rec. (Usa) - 2016


Tiger in a cage/Born to the blues/Red Cadillac/Every woman needs a working man/Recless heart/Keep it loose/Having a party/Your love is lifting me (higher and higher)/Southern honey/Lucy/Beast of burden/I would be nothing

Forse è il caso di riassumere la storia di Johnny Rawls perché malgrado negli ultimi quindici anni almeno, la sua attività discografica sia stata particolarmente prolifica, il signor Rawls gode di un interessante passato che può, almeno in parte, spiegarci meglio il presente. Mississippiano di origine, dopo aver suonato con Joe Tex e Z.Z. Hill, a metà degli anni ‘70 diventa chitarrista e direttore musicale della band di O.V. Wright. Morto Wright, passa, con inalterata mansione, alla band di Little Johnny Taylor fino alla metà degli anni ’80 quando incide per l’etichetta Rooster, in duo col chitarrista e cantante L.C. Luckett, Can’t Sleep At Night, ottimo ma unico esemplare di moderno blues & soul edito da questa coppia, che scoppierà immediatamente dopo. Da lì e dal quel primo Here We Go inciso per l’inglese JSP, Johnny Rawls inizierà la sua carriera solista che, discograficamente parlando, negli ultimi vent’anni non ha conosciuto battute d’arresto.
Il suo più recente approdo discografico, risalente ormai al 2009, è stato quello con la Catfood Records, etichetta per la quale, anche il presente Tiger In A Cage è stato edito. Malgrado Rawls ricopra da sempre il ruolo di chitarrista, cantante, autore e arrangiatore, in quest’ultimo lavoro punta tutta la posta su quello di cantante, lasciando l’intero onere della chitarra a Johnny McGhee, già chitarrista dei Togetherness & Devotion. Rappresentante della più schietta tradizione soul blues, da lui rivisitata in chiave moderna, sebbene lontano dalle profondità interpretative dei più noti esponenti del genere, Rawls è comunque cantante dalla vocalità genuina ed efficace. Tenore lineare dai rauchi riflessi castani interpreta a tutto tondo un repertorio che propone prevalentemente brani originali, integrati con cover magistralmente scelte. Tra quest’ultime spiccano una gioiosa Having A Party di Sam Cooke e Your Love Is Lifting Me Higher. Tra le prime, invece, mi piace citare la title track Tiger In A Cage, pezzo dai risvolti sociali scritto dal bassista Bob Trenchard e, sempre frutto della stessa penna, la deliziosa Southern Honey, ballata dal sapore cajun in salsa della Louisiana, interpretata a due voci da Rawls e dall’ottima pianista Eden Brent, qui presente solo in veste di pur brillante cantante. Completano il programma la riproposizione di alcuni pezzi ripresi da precedenti dischi di Rawls come Red Cadillac o la conclusiva I Would Be Nothing. Come buona parte dei dischi pubblicati dalla Catfood Records, anche questa è un’opera che va letta in chiave corale. Fondamentale, nella resa finale, è infatti il lavoro dei The Rays, la house band e, non da ultimo, quello di un produttore di gran gusto ed esperienza come Jim Gaines. G.R.


 
Copyright 2016. All rights reserved.
Torna ai contenuti | Torna al menu