2024 - Macallè Blues

Macallé Blues
....ask me nothing but about the blues....
Vai ai contenuti

2024

Recensioni > Shortcuts


Shortcuts: i cd in breve...2024


Shortcuts: i cd in breve...: in questa sezione del sito, troverete le recensioni delle novità discografiche, ma in versione compressa!

CHAD RUPP AND THE SUGAR ROOTS

"Gate C23"

Lightning In A Bottle Rec. (USA) - 2024

Fresh suits/She is the one/She got that business handled/Gate C23/14 dollars in the bank/Blues city cafe/Do whatcha daddy say/You'll be singing my songs/2 inches shy a foot/Fat kid boogie/Blind, crippled and crazy
                     
              
C’è del soul oleoso, del blues e del rock 'n' roll da ambulanza nel mix che arriva da Portland, per tramite di Chad Rupp e dei suoi The Sugar Roots.
Con influenze manifeste, provenienti da quelle zone di incrocio dominate dai Fabulous Thunderbirds da un lato e Roomful Of Blues dall’altro, Rupp rende omaggio alla tradizione blues dell’Oregon, sempre assai vivace e feconda di spunti e personaggi anche assai originali; Paul DeLay ne sia un esempio su tutti! Allora, non sarà proprio casuale la scelta di rileggerne fedelmente la sua 14 Dollars In The Bank con Mitch Kashmar a ricoprire il ruolo dell’armonicista.
In un repertorio pressoché inedito dove trova spazio anche una gustosissima e fieramente neorleansiana She Got That Business Handled spunta una seconda, ardita cover sul finale: Blind, Crippled And Crazy del fu sommo O.V. Wright rivive qui una seconda esistenza tra la fierezza di quelle strozzature vocali che inseguono l’ombra di Wright e le improvvise virate blues imposte dalla chitarra di Rupp.
Oltre a Kashmar, irrobustiscono i già vigorosi Sugar Roots Jimi Bott alla batteria, un tris vincente di vocalists con, a capo, LaRhonda Steele e una ricca sezione fiati. G.R.
    
 

ANTHONY GERACI

"Tears in my eyes"

Blue Heart Rec. (USA) - 2024

Broken mirror, broken mirror (feat. Sugar Ray Norcia)/Owl's nest/Tears in my eyes/Blues for Willie J/Judge oh judge (feat. Sugar Ray Norcia)/Oh no/Ooeee/Memphis mist (feat. Anne Harris)/Witchy ways/Now what (feat. Sugar Ray Norcia)/Lonely country road blues
                     
              
Parafrasando quel detto di Oscar Wilde secondo il quale “L’imitazione è la forma più sincera di adulazione”, potremmo dire che, con questo ultimo disco Anthony Geraci, per anni pianista di Sugar Ray & The Bluetones rende omaggio agli antichi maestri come lui stesso  - e giustamente! - li definisce dimostrando, verso di loro, tutta la propria ammirazione.
A cominciare dall’iniziale Broken Mirror, tradizionale esercizio di stile linguistico dal chiaro accento chicagoano e quel piano alla Otis Spann che tanto lo fa somigliare a un blues sfuggito dalle corde di Muddy Waters, passando per Judge Oh Judge e tutti i profumi della vecchia Kansas City che rievoca si finisce per incappare nel soul jazz, nei richiami alle atmosfere del Dylan anni ‘70, in inattese e svettanti linee di archi (Memphis Mist), nei richiami a certo southern rock fino alla pastorale conclusione con Lonely Country Road Blues.
Gli undici brani di Tears In My Eyes Geraci li ha registrati con la sua band, The Boston Blues All-Stars, e l’aggiunta di un paio di ospiti: la violinista Anne Harris e il vecchio amico Sugar Ray Norcia, armonicista e vocalist di notoria eleganza che dimostra, laddove interviene, di non aver perso quasi nulla, con gli anni, del proprio mirabile crooning. G.R.
    
 

MISSISSIPPI MACDONALD

"I got what you need"

APM Rec. (USA) - 2024

I got what you need/We're gonna make it/Stop! Think about it!/3.35 AM/Hard luck and trouble/Sinking/Soul city one/If I could only hear my mother pray again/Your dreams
                     
               
La sferzante, puntuta chitarra del londinese - ma assai americano nel suono! - Mississippi MacDonald aveva ampiamente dimostrato, già un album fa, la propria evidente adorazione nei confronti del vecchio Albert “Iceman” Collins che qui si riconferma chiaro ispiratore nell’iniziale, omonima I Got What You Need come nel torbido slow Stop! Think About It! e ancora, seppur mischiato a impliciti inserti in schietto stile Stax, in Soul City One.
Ma in questo nuovo lavoro, pur confermando la propria devozione al venerabile maestro texano, MacDonald confessa ripetute distrazioni che muovono il suo sguardo verso il soul-blues (We’re Gonna Make It) quando non al gospel omaggiato in If I Could Only Hear My Mother Pray Again dove la sua chitarra fieramente blues si avventura su per un pendio che pare tracciato a quattro mani da Mahalia Jackson e Sister Rosetta Tharpe. Fino al contemplativo Your Dreams, finalmente dichiarato epilogo churchy per chitarra, pianoforte e voce. G.R.
    
 

PRAKASH SLIM

"8000 miles to the crossroads"

Blue Point Rec. (USA) - 2024

Kokomo blues/Old man blues/8000 miles to the crossroads/Write me a few lines/Talking Nepal blues/Blues raga part. 2/Everyday blues is in my heart/Workin' man blues/My babe blues/Homeless child/Things 'bout coming my way/Hammer blues
                     
               
Il blues non ha confini; verrebbe da dire, affrontando Prakash Slim, la sua musica e le 8000 miglia e forse più percorse in un personale, iniziatico viaggio per raggiungere il proprio crossroad. Dal Nepal agli States, tanta è la distanza; geografica e culturale. Ma la potenza dell’incantesimo gettato su questo chitarrista nepalese da Charlie Patton, Mississippi John Hurt, Fred McDowell, Robert Johnson e compagnia cantante, ha magicamente colmato il divario.
Questo, che è il suo secondo disco, è stato registrato in occasione della recente partecipazione di Slim al Juke Joint Blues Festival di Clarksdale, nei vicini e storici studi di Sam Phillips di Memphis, con l’occasionale supporto chitarristico di Rockin’ Johnny Burgin a dare un tocco, seppur discreto ma gustoso per contrasto, di elettricità al country blues diversamente dominante e l’occasionale apporto ritmico della batteria dello stesso Michael Freeman, già produttore. Il risultato? Dodici brani (otto autografi, i restanti pescati dalla storia) che narrano la vicenda umana di un ragazzo con un dobro, nato lontano dal Mississippi, e del suo amore per quel blues nato, invece, proprio sulle sue rive. E di come, nel risalirne la corrente fino alle alture del Nepal, il suono di quella chitarra resofonica abbia subito episodiche metamorfosi nel timbro fino a farsi sitar e a contaminarsi coi raga in una sempre salvifica mescolanza di culture. G.R.
    
 

DENNIS HERRERA

"Four"

Deep Groove Rec. (USA) - 2024

Can you feel it/All said and done/Long time comin'/Blues and roll/Tenderness I see/Insta groove/It's all too much/Lazy!/All this time/Preskitt/Mean ole Texas shuffle (feat. Anson Funderburgh)/You stole my heart
                     
               
 
Genuino come solo la torta della nonna saprebbe essere, questo quarto disco di Dennis Herrera, chitarrista e cantante di ormai rara autenticità, è una passionale, verace raccolta di blues songs emersa diritta - come direbbero dalle parti della nostra Napoli - da anema e core.
Provocatoria mescola di Texas, Chicago e West Coast blues, Four è un disco senza fronzoli, come oggi se ne ascoltano più pochi, che potrebbe facilmente inorgoglire gli antichi maestri della vecchia scuola. Ad arricchire il già solido quartetto base, oltre a sax, percussioni e cori, anche il basso del veterano Bill Stuve, storico membro dei Mighty Flyers di Rod Piazza e Anson Funderburgh alla chitarra nelle versioni remix di Mean Ole Texas Shuffle e You Stole My Heart. G.R.
    
 

MICK KOLASSA

"All kinds of blues"

Endless Blues Rec. (USA) - 2024

Thank you Memphis/Where love takes me/Did you ever wonder? (feat. Doug MacLeod)/Too old to die young/Happy endings/Amy Iodine/You bumped me again/Does your mama know?/Eating my soul/I can't sing no blues tonight/That don't mean/Somebody else's whiskey/Bad decisions/A yankee heading home
                     
 
Prolifico come nessuno - ormai, ho perso il conto dei dischi che ha inciso nel volgere dei soli ultimi due anni ma, contati alla grossa, potrebbero essere anche cinque! - il cantante, autore, chitarrista e produttore Mick Kolassa torna in sala d’incisione e si ripropone per la quindicesima volta (qui, il conto è giusto...lo dicono le note di copertina!) con un nuovo lavoro. Il risultato è fedele al titolo: un caleidoscopico viaggio, un percorso olistico tra i vari stili di blues.
Prodotto dall’altrettanto fedele Jeff Jensen, come sempre anche qui chitarrista, All Kinds Of Blues suona spesso come una moderna versione dei Roomful Of Blues, al netto di quel paio di divagazioni acustiche che, strada facendo, Kolassa si concede. Saranno le chitarre portate con fierezza sugli scudi, la robusta sezione fiati di Marc Franklin e Kirk Smothers o gli arrangiamenti dalle geometriche, lineari simmetrie, ma il cd indossa un guardaroba elegante e assai curato, portato con disinvolta ironia; quella stessa che spesso ritroviamo anche nelle canzoni. Too Old To Die Young, Amy Iodine, Somebody Else’s Whiskey ne sono chiari esempi. Così come Did You Ever Wonder?, delizioso talking blues in formato rhumba e stile New Orleans scritto e interpretato a due voci col sempre accattivante Doug MacLeod. G.R.
    
 

DOUG DUFFEY & BADD

"Ain't goin' back"

Fort Sumner Rec. (USA) - 2024

Whirpool/You got what it takes/The wishing game/Rock it all night/Front porch blues/Get her out of your head/Turn it around/No mercy/Promised land/Gallus pole/Ain't goin' back
                     
               
Doug Duffey e i suoi BADD sono un quartetto del nord Louisiana. Hanno allegramente riciclato, spadellato, refunkizzato e riconfezionato bluesiana, delta soul, swampadelic e bayou funk in un personale slammin’ postmoderno.
Il minimale stile pianistico di Duffey riflette tutta la tradizione del Delta; la sua scrittura ricalca la poetica più diretta e contadina tipica di queste paludose terre del sud e sfocia in un gumbo, in una mescolanza di stili che origina dalle nebbie senza tempo della tradizione locale. Malgrado un’atmosfera complessiva che annusa di session acustica, la realtà che ci si presenta è tutt’altro che unplugged. La band che, in formazione base, è formata da un classico quartetto non disdegna di allargarsi, talora, a tromba, trombone e pure armonica (proprio come nell’iniziale, eterea Whirpool e nella conclusiva Ain’t Goin’ Back). Undici brani inediti, concisi e pungenti, pregni di intelligenza e piccole verità. G.R.
    
 

GERALD McCLENDON

"Down at the juke joint"

Delta Roots Rec. (USA) - 2024

Back where you belong/It's too late, she's gone/Down at the juke joint/House ain't a home/So long/Talkin' smack/Only time will tell/She's trying to drive me crazy/Cryin' time again/You make me happy/I'll be in your corner/You're so fine
                     
               
Qui, gli amanti del blues troveranno pane per i propri avidi denti soltanto nel calmo lamento in minore di House Ain’t A Home, illuminato dalla presenza di un redivivo Maurice John Vaughn - chitarrista che qualcuno ricorderà autore di un singolare, innovativo LP negli anni ‘80 per la tutt’altro che innovativa etichetta Alligator - chicagoano proprio come McClendon. Ma non si illudano costoro perché la predominante cifra stilistica del nostro cantante non si ritrova nel blues, genere con il quale pure si misura - esempio ne sia il citato episodio - con dimessa e rassegnata eloquenza, quanto nella tradizione soul, qui ben rappresentata nelle più svariate occasioni.
Questa sporca dozzina di canzoni scritte dal celebre batterista, autore e produttore Twist Turner offre una sincera selezione di lamenti da innamorati e liquide ballate pensate apposta per serate di languidi sguardi. E su tutto, ci piace assai il ricordo del principe indiscusso di queste lente atmosfere, il magistrale O.V. Wright, rievocato dai riverberi lievemente nasali di It’s Too Late She’s Gone. G.R.
 

STEVE HOWELL & THE MIGHTY MEN

"99 1/2 won't do"

Out Of The Past Rec. (USA) - 2024

I'm a little mixed up/99,5/San Francisco/Don't let me be misunderstood/Talk to me, talk to me/God's gonna cut you down/Who will the next fool be?/Stone pony blues/Walk away Renee/Apache
                     
               
Le insistite atmosfere placidamente after hours, sottolineate da una decisa cornice unplugged e da un approccio confidenziale al canto, fanno di questo quinto disco di Steve Howell e dei suoi Mighty Men un ascolto ideale per le ore chete della siesta ultima, quella campagnola e serale dell’imbrunire, consumata in un pigro dondolio accanto al fienile.
Dall’iniziale I’m A Little Mixed Up, già registrata da Betty James prima e Koko Taylor poi, dall’arguto, antico gospel dell’omonima 99 ½ di Sister Rosetta Tharpe giù per i molti strumentali (San Francisco, Don’t Let Me Be Misunderstood, Walk Away Renee, fino all’ammorbidita rilettura in salsa ‘spaghetti western’ di Apache) e attraverso l’inno santo God’s Gonna Cut You Down già rivisitato perfino da Nick Cave, questo è un disco che sprigiona un lessico incredibilmente sincero e swingante.
Ancora una volta il texano Howell viene brillantemente coadiuvato da un tris di partners pescati dalla limitrofa e, in qualche modo affine, Shrevenport, Louisiana. G.R.
 

JAY GORDON & THE BLUES VENOM

"Live at Woodystock 2022"

Shuttle Music Rec. (USA) - 2024

Hoochie coochie man/Crossroads/I drink alone/Slow burn biker mama/Fire and brimstone boogie/Goodmorning little school girl/Green river/Suzie Q/Train train/Stranger blues
                     
               
Jay Gordon & The Blues Venom: ossia, immaginarsi il blues come fosse interpretato da Lemmy Kilmister coi suoi Motorhead o da una nuova versione dei Blue Cheers. Un blues senza sconti, scagliato secco e a prezzo intero nelle orecchie di chi ascolta, da un power trio a tutto amperaggio. Questi sono, in un’estrema e fedele sintesi, i connotati musicali di Jay Gordon e dei suoi “velenosi” compagni.
Come ben si può intendere dal titolo, il disco testimonia della loro esibizione al Woodystock Blues Festival di Laughlin, Nevada, dove il caldo torrido di quello stato faceva da opportuna, coerente cornice alla pura e grezza energia sprigionata dalla band. In mezzo a qualche classico, ovviamente rivisto attraverso distorsive lenti scure da stagionati bikers, la band si ritaglia lo spazio anche per qualche verace rilettura, come per la doppietta ripescata dal songbook di John Fogerty e dei suoi Creedence CCR. G.R.

JOHN CLIFTON

"Too much to pay"

Flower Rec. (USA) - 2024

Too much to pay/It wouldn't stop raining/Long gone mama/Get lost/Every waking hour/Broke down fool/One fine chick/The problem/Swear to God I do/Bad trip
                     
               
Californiano purosangue, John Clifton è un tipicoroad dog’ che, armato di armonica e di un sottile tenore per strumento vocale, saldamente incastonato tra naso e fronte, da decenni porta a spasso il proprio blues stilisticamente ballerino, saltellante tra Chicago, la West Coast e il rockabilly dei lontani fifties.
In questo ultimo Too Much To Pay, registrato a Varsavia col supporto della sua regolare backing band locale che, malgrado i natali polacchi, dimostra di aver ben digerito e metabolizzato tutti i generi di cui sopra e suona più che mai “americana” (nel merito, si ascoltino attentamente sia la ritmica quanto chitarra e tastiere nelle mani, rispettivamente, di Piotr Bienkiewicz e Bartek Szopinski), figurano dieci piccole gemme inedite nelle quali, talvolta, l’armonica viene un po’ accantonata ma, laddove ricompare, sembra far risorgere improvviso il sole caldo del Pacifico. G.R.
 

Torna ai contenuti