Andrea Cubeddu - Jumpin' Up & Down - Macallè Blues

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Andrea Cubeddu - Jumpin' Up & Down

Recensioni

Il disco raccontato da...

Andrea Cubeddu

ANDREA CUBEDDU

"Jumpin' up and down"

Autoprodotto (I) - 2017

I sold my soul to the devil/Blues is gone/Feel like I'm dead/Don't love me no more/Blues in my veins/Goin' to propose/Evil neighbor/Pair of shoes/Release your soul/What else can I do?/Traveller blues/Unlucky in love

Andrea Cubeddu, incarnazione nostrana del busker, del bluesman di strada, ha soltanto ventiquattro anni, un'urgenza espressiva chiaramente avvertibile ed è già una delle sorprese più fresche e interessanti che il panorama blues italiano porti oggi in pancia. Il suo primo disco completo Jumpin' Up And Down, segue a ruota l'uscita del precedente EP On The Street e ricava il proprio titolo direttamente dal celeberrimo Preachin' Blues di Son House, artista del quale si avverte molto lo spirito. Ciò che segue, quindi, é il resoconto della chiacchierata fatta con Andrea in merito a questo suo rimarchevole esordio...

Macallè Blues: tanto per presentarti...dicci chi è Andrea Cubeddu bluesman?
Andrea Cubeddu: sono un cantautore blues, di origine sarda. Finora, questa è la definizione più completa a mia disposizione. In parole povere, canto e suono brani autobiografici, con un linguaggio musicale vicino a quello della musica tradizionale afroamericana.
MB: sono diversi gli aspetti che mi hanno colpito in questo tuo felicissimo esordio discografico. Partiamo dalla veste nella quale ti proponi: in totale solitudine con chitarra e voce. Una veste davvero sorprendente per un giovane come te….
AC: il progetto che attualmente porto avanti è da solista. Ho iniziato un paio d’anni fa suonando per strada, o facendo busking, come si dice in inglese, per il centro di Milano e da quel momento ho continuato a suonare da solo. Ho studiato tanto la tecnica chitarristica di grandi musicisti come Robert Johnson, Son House, Charlie Patton, Muddy Waters, i vari Blind, così da poter avere da una parte l’automatismo del basso alternato e dall’altra un buon fraseggio, affinché lo strumento cantasse da sé e accompagnasse dignitosamente il mio canto.
Non è stata un’impresa impossibile. E’ costata molto tempo e fatica e, ancora adesso, studio svariate ore al giorno per ampliare sempre più la mia discorsività musicale e per non rischiare di cadere nella ripetitività. Alla fine, ho avuto in mano un buon numero di canzoni da portare in giro e da farci un disco.
MB: un altro aspetto è legato proprio all’anagrafica: la tua giovane età abbinata alla scelta di interpretare il blues con uno stile essenziale e arcaico sono un’altra piacevole sorpresa…
AC: beh, ho più o meno l’età che aveva Robert Johnson quando suonava in giro per gli USA o di Buddy Guy quando suonava con Muddy Waters. La scelta dello stile acustico\solistico è stata una pura necessità. Inizialmente sognavo di suonare in una “big band” come chitarrista solista, sulla scia di musicisti come Buddy Guy, BB King, Albert King, T-Bone Walker. Poi, finiti gli studi a Milano, non avevo proprio idea di come immettermi nel mondo della musica e pensai di iniziare a suonare per strada.
Ascoltando musicisti come Son House e il buon Johnson, da cui dovevo imparare uno stile perfetto per suonare da solo, ho scoperto la bellezza del Delta Blues e la sua immensa forza espressiva. Scavando nelle profondità della musica afroamericana sono emerse forti tradizioni, tipiche di un popolo isolato, orgoglioso della propria identità e storia e bisognoso di riscatto. Tantissimi dunque i punti in comune con la cultura sarda in cui sono nato e cresciuto. Studiando i testi cantati da quei bluesmen afflitti da pene d'amore, senza un soldo in tasca, costretti a viaggiare per trovare un posto in cui stare, in cui sentirsi a casa, ho ritrovato la mia quotidianità. Per questo, anche se ho i miei pochi 24 anni, mi sento scorrere il blues nel sangue.
MB: ulteriore aspetto, è il programma del disco, interamente composto da brani originali. Qui, a sorprendere, non è solo questa iniziativa, ma anche la qualità della scrittura: se, musicalmente, i riferimenti principali sono quelli del classico slide blues acustico,  i testi sembrano ricalcare più uno stile cantautorale e autobiografico, con elementi di metrica che, invece, si scostano dal blues canonico….
AC: il blues del Delta e il Mississippi Hill Country Blues definiscono il punto di partenza del mio stile musicale. I brani si muovono in quella sfera, sia tematicamente che come sonorità. Ma sono altresì vari i punti di distacco dalla tradizione: la struttura dei brani spesso si discosta dai classici standard del blues, i testi hanno differenti tipi di rime e trattano argomenti in chiave moderna. La motivazione è chiara: non sono un afroamericano del 1900, non posso scrivere brani come li scrivevano i grandi bluesmen del passato. Il mio background musicale va oltre il blues prebellico e gli input che ricevo dall'esterno, ascoltando passivamente la musica che gira in radio, dentro i negozi, nei locali, sono davvero tanti. La mia storia personale è ambientata in un periodo storico differente, lontano da quello vissuto da un afroamericano del secolo scorso.
Alla fine, ho lavorato e limato tanto i miei brani per avere un equilibrio tra le parti. Testi autobiografici con temi attuali, musica che ricalcasse la vecchia scuola dei bluesmen del delta e allo stesso tempo del blues moderno, come quello di Jack White e The Black Keys, di Seasick Steven e di Keb' Mo'.
MB: musicalmente, la maggior parte dei brani, come detto, si inseriscono in un filone che potremmo definire ‘tradizionale’; alcuni, però, assumono delle forme un po' diverse. Penso al ragtime 'Goin’ To Propose', 'Release Your Soul' o la conclusiva 'Unlucky In Love' che parrebbe estratta dal repertorio più notturno del vecchio Tom Waits…
AC: come dicevo prima, sono tante le influenze esterne allo “standard blues” e tanti gli esempi lampanti presenti nei miei brani. Per esempio, I Sold My Soul To The Devil, la prima canzone dell'album: all'inizio la struttura si presenta molto simile ad un tipico giro blues, ma dopo due giri inserisco un bridge, sulla scia dei brani di Ray Charles, per creare un po' più di spinta e dinamicità. Oppure Release Your Soul dove, nel ritornello, uso il pattern “quarto maggiore-quarto minore-primo”, frequentissimo nella musica indie moderna. O anche Goin' To Propose che, strutturalmente e ideologicamente vicina al ragtime tratta, in maniera ironica e sfacciata, di un colossale due di picche.
L'ispirazione viene da ogni cosa che ascolto e che attira la mia attenzione. Se sento qualcosa che mi stupisce, che suona nuova e che mi incuriosisce, la studio, cerco di farla mia e di inserirla all'interno del mio contesto musicale.
MB: sempre in merito agli aspetti musicali, c’è una forte connotazione ritmica già alla chitarra, alla quale, talvolta, aggiungi tamburelli o altri abbellimenti essenziali….
AC: il ritmo è alla base della musica. In alcuni brani la sola chitarra non bastava, quindi ho aggiunto qualche sonaglio, qualche battito di mani e molto spesso lo stompbox, piccolo pedale che utilizzo sempre in live con cui si può imitare il suono di una cassa o dei passi, un po' alla John Lee Hooker, insomma. Agli albori del blues, i musicisti suonavano all'interno di barrelhouse, letteralmente “casa barile”, locali fatti interamente in legno. Indossando un paio di scarpe con il tacco duro, le classiche scarpe dell'abito, si poteva scandire il tempo rumorosamente. Ecco, ho cercato di tirare fuori un suono simile dallo stompbox, nella maggior parte delle canzoni.
MB: se dovessi pensare ai bluesmen che più hanno ispirato o influenzato questo tuo disco, chi ti verrebbe in mente?
AC: i primi in assoluto, Son House e Robert Johnson. Il loro stile è affascinante, duro, grezzo e molto espressivo. Soprattutto Son House, sembra quasi picchiare la chitarra, un po' come se sfogasse su di essa tutti  i suoi dolori e le sue frustrazioni e al contempo come se dovesse tirarne fuori più suono possibile, affinchè tutti lo potessero sentire e capire forte e chiaro. Son House era un prete battista e non uscì mai dal suo personaggio, nemmeno quando suonava. La sua non era una performance, ma un vero e proprio sermone.
Tra gli altri musicisti da cui ho tratto ispirazione nella scrittura dei brani del disco figurano vari nomi tra i quali Muddy Waters, da cui studiai per la prima volta la tecnica dello slide, John Mooney, allievo di Son House, anche lui maestro di bottleneck, Jack White, folle artista contemporaneo, Robert Cray, chitarrista spaziale e padre di armonie fuori dal comune (date un ascolto al brano Bad Influence, e capirete di che parlo) e tanti altri, del secolo scorso e contemporanei.


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