Doug MacLeod - Break the chain - Macallè Blues

Macallé Blues
....ask me nothing but about the blues....
Vai ai contenuti

Doug MacLeod - Break the chain

Recensioni

Il disco raccontato da...

Doug MacLeod

DOUG MacLEOD

"Break the chain"

Reference Rec. (USA) - 2017

Goin' down to the roadhouse/Mr Bloozeman/Lonesome feeling/Travel on/LA - The siren in the west/One for Tampa Red/What the blues means to me/This road I'm walking/Who's driving this bus/Church Street serenade/Going home/Break the chain

Grande chitarrista, autore, cantore, interprete e testimone di un'arte antica, con quest'ultimo Break The Chain, Doug MacLeod si conferma come uno dei massimi esponenti contemporanei del blues acustico.
Macallè Blues lo ha nuovamente incontrato per parlare di questo suo ultimo disco...

Macallè Blues: tu sei noto per il tuo talento di autore, chitarrista, cantastorie, ma anche per la tua propensione a registrare dischi, per così dire, ‘nature’. Buona parte, infatti, sono dischi acustici registrati in presa diretta, in un’unica sessione o poco più senza alcun tipo di artificio o sovraincisione. Questo tuo nuovo album 'Break The Chain' non fa eccezione ma, ascoltandolo, ho come l’impressione che goda di un’atmosfera più calda e partecipata rispetto ai precedenti. E’ soltanto una mia idea o sembra anche a te che, durante le registrazioni, ci fosse come qualcosa di speciale nell’aria?
Doug MacLeod: Beh, effettivamente qualcosa di speciale nell’aria c’era. Cinque mesi prima che cominciassimo le registrazioni del disco, a mio figlio Jesse venne diagnosticato un melanoma. Come sai, era previsto che Jesse partecipasse al disco, cantando, suonando e scrivendo con me  Break The Chain, il brano che dà il titolo all’album e che parla della capacità di spezzare la catena degli abusi all’interno delle famiglie. La sua era una forma rara di melanoma tanto che i medici, qui a Los Angeles, non sapevano bene come metterci mano. Ci hanno raccontato per mesi che, nel giro di una o due settimane al massimo avrebbero avuto i risultati, ma le cose si sono invece trascinate ben oltre. Sapevamo che stavano cercando di capire che tipo di cancro fosse al fine di prescrivere un trattamento adeguatamente mirato ma, inutile dire che, tutto ciò, è stato un vero inferno per la nostra famiglia. A un mese dall’inizio delle registrazioni dell’album, ancora non sapevamo nulla. Così, la Reference Recordings e la mia manager Miki Mulvehill mi offrirono la possibilità di cancellare la session di registrazione se questa fosse stata la nostra volontà. A quel punto, mia moglie Patti Joy, Jesse, e io ci siamo seduti al tavolo e, in non più di dieci minuti, decidemmo di andare avanti col disco. Un cancro non avrebbe mai dettato le regole delle nostre vite. Al termine delle registrazioni, comunque, non avevamo ancora avuto una diagnosi certa e, così, le montagne russe proseguirono nei due mesi seguenti. Ma ora posso dirti che i medici del John Hopkins Hospital hanno finalmente scoperto di che tipo di melanoma si tratta cosicchè sono stati in grado di avviare il trattamento e ora sono davvero felice di poter dire che Jesse è libero dal cancro da nove mesi! Quindi sì, Giovanni, c’era effettivamente un feeling speciale nell’aria, non solo coi musicisti, ma anche con tutta la squadra di persone coinvolta nella registrazione del disco.
MB: tu non sei nuovo a incidere per etichette che tengono in gran conto la qualità del suono e delle registrazioni: ora la tua etichetta è la Reference, ma prima era la Audioquest, per esempio. Io penso che questa ricercata accuratezza nei suoni sia di grande aiuto per la tua musica e le tue canzoni che richiedono un’attenzione particolare essendo, spesso, più che semplici canzoni, quasi un dialogo diretto tra te e i tuoi ascoltatori…
DML: sì, anche questa volta abbiamo registrato live. Senza sovra incisioni o parti inviate e aggiustate via e-mail. Proprio come si faceva negli anni ‘40: tu entri in studio, ti siedi di fronte al microfono e cominci a suonare. Come dico, questa è “musica fatta da esseri umani per essere umani”.
MB: se uno chiudesse gli occhi, ascoltando 'Break The Chain', si sentirebbe circondato dai suoni tanto che avrebbe quasi l’impressione di sentirti suonare lì, nella stessa stanza dell’ascoltatore. Si possono udire anche i battiti del piede o i respiri presi. E’ veramente un’esperienza ‘live’….
DML: mi fa piacere sentirtelo dire perchè questo è esattamente ciò che, tanto io quanto la Reference Recordings, vogliamo che si senta e si viva. L’ascoltatore deve avere l’impressione di essere proprio al fianco dei musicisti mentre la musica va.
MB: in quest’album, tu sei accompagnato, sebbene non in tutti i brani, da buona parte dei musicisti che erano già presenti nel tuo precedente disco: Jimi Bott alla batteria e Danny Croy al contrabbasso. Ma, a differenza del precedente 'Exactly Like This' qui, il pianoforte, è scomparso mentre sono comparse le percussioni. Considerato che tu hai anche un modo di suonare percussivo e molto ritmico, trovo che la presenza di un percussionista si sposi molto bene con buona parte della tua musica…
DML: stiamo parlando di alcuni ottimi musicisti qui! Denny e Jimi sono veramente dei musicisti intuitivi. Entrambi danno un contributo importantissimo alla mia musica e sono molto grato di poter fare musica con loro. Poi c’è Oliver, il percussionista appunto. L’ultima volta che abbiamo registrato insieme è stato nel 1997 per il mio disco Unmarked Road, ma quando suoniamo, ci connettiamo subito.
MB: infatti; alle percussioni c’è proprio Oliver Brown che è un musicista di grande fama ed esperienza avendo suonato in contesti funk, disco, rock e jazz….
DML: Oliver ha una grande fama ed è un musicista molto rispettato. Forse anche perchè lui sa come inserirsi al meglio in ogni situazione musicale. E’ un musicista speciale, in effetti.
MB: ora veniamo al contenuto del disco. Ancora una volta, dimostri qui i diversi aspetti del tuo talento di autore. Uno di questi è l’essere ironico e arguto: 'This Road I’m Walking', 'Who’s Drivin’ This Bus' ne sono chiari esempi. Forse ti sorprenderò, ma sai qual è il brano che mi ha fatto balzare sulla sedia al primo ascolto? 'Mr Bloozeman'! In questo pezzo, che è fondamentalmente, un talkin’ blues, metti nero su bianco quello che molte persone e autentici appassionati di blues pensano davvero, anche se magari neppure sanno di pensarlo. Questo mondo è pieno di presuntuosi, narcisi impostori e il mondo del blues, sfortunatamente, non fa eccezione….
DML: mi fa piacere che quella canzone ti abbia fatto saltare sulla sedia! Mi sono proprio stufato di vedere e ascoltare tutti questi palloni gonfiati. Quando ho cominciato con questa musica, ho avuto alcuni buoni maestri. Uno di loro, Ernest Banks, un vecchio cantante country-blues di Toano VA, mi disse: “non scrivere o cantare mai di qualcosa che non conosci” e ancora “non suonare mai una nota nella quale non credi”. Nel dire così, parlava semplicemente di onestà. Onestà non solo nella musica, ma nella vita stessa. Certo, difficile da mettere in pratica, ma una grande lezione davvero.
MB: devo dire che il finale di questa canzone suona come un colpo di genio. Correggimi se sbaglio ma, 'Mr Bloozeman', finisce nel tipico stile di Lightnin’ Hopkins, ma con un accordo un pelo fuori tono. Proprio come “fuori tono” suonano, in un contesto genuino come dovrebbe essere quello del blues, le persone false, i Mr. Blooozeman appunto…
DML: hai ascoltato sul serio davvero! Sì, quell’ultimo accordo è volutamente dissonante proprio in quel senso!
MB: poi c’è il tuo lato filosofico: 'Travel On' e 'The Siren In The West' rappresentano bene quest’aspetto. Quest’ultima canzone, in particolare, parla dell’allontanarsi da se stessi e dei rischi che si corrono nel farlo…
DML: Travel On: non posso fare a meno di pensare a cosa la nostra famiglia stava attraversando mentre registravamo il disco. Come dico io, nessuno, in questa vita, cammina sempre e solo sulla cima delle montagne. A tutti noi capita di dover scendere e camminare anche a valle. Ma mai mollare! Bisogna resistere e andare avanti.
The Siren Of The West: beh, penso che sia veramente importante essere davvero ciò che sei e non cercare di essere qualcos’altro per compiacere qualcuno. Bisogna proclamare la propria rarità. Come dico nella canzone, "...you got to get a handle on that..." o la tua anima potrebbe perdere il suo nome.
MB: poi c’è il tuo lato più profondo e intenso, rappresentato da 'Lonesome Feeling', per esempio, che è un blues lento, sussurrato, nel quale tu suoni, manco a dirlo, tutto solo…
DML: esatto, quello lì è il blues. Tutti noi abbiamo perduto un amore o abbiamo ferito qualcuno provando tutto il rimorso per averlo fatto. E quando non puoi rimediare e le persone che hai ferito se ne sono andate via da te, quello è un ‘lonesome feeling’ davvero. Spero che questa canzone possa aiutare le gente a evitare gli stessi errori che ho commesso io.
MB: poi ci sono un paio di brani acustici molto differenti tra loro: uno è uno slide blues dedicato a Tampa Red e l’altro, 'Church Street Serenade', è un brano melodico con un qual certo feel irlandese...
DML: Tampa Red è uno dei miei preferiti da sempre! Amo la sua voce, I suoi testi, il suo modo di scrivere e, ovviamente, il suo modo di suonare. Con questo brano volevo solo offrire un tributo a un grande musicista. Tornando a Mr. Blooozeman, hai idea di quanti di quei palloni gonfiati lá fuori non hanno mai sentito parlare di Tampa Red? Vergognoso!
Riguardo a Church St. Serenade, direi che la mia intenzione era quella di mettere nel disco un brano per sola chitarra. Adoro il suono della National Steel o Style O. A dire il vero, non ci sento influenze irlandesi; a me, quando lo suono, pare abbia un ché di gospel.
MB: nel bel mezzo del cd, quasi fosse uno spartiacque, c’è una parte parlata, una lezione sul blues e su cosa il blues significhi per te, ricca di storia e citazioni…
DML: sì, sono convinto che questa musica chiamata blues rappresenti un testamento, un lascito, la dimostrazione di come il blues possa servire a vincere le avversità e a non esserne soggetti. Ho pensato alle persone che hanno creato il blues e alle condizioni nelle quali l’hanno creato. E all’importanza dello humor. Sono stato davvero fortunato perché i bluesmen coi quali ho suonato mi hanno permesso di stare con loro così che io sono riuscito a imparare non solo la musica, ma anche il modo in cui vedevano la vita.
MB: a beneficio di coloro i quali non dovessero saperlo, tu sei solito utilizzare differenti chitarre (ognuna delle quali ha un nome particolare) così come diverse e personali accordature con strani nomi come ‘too many D’s’, ‘bastard G’: che mi dici di queste chitarre e di queste accordature? Sembra quasi tu abbia tra le mani, personalità diverse, è così?
DML: vero, per me, ogni chitarra ha una sua personalità. Quindi, immagino che sia per quello che hanno dei nomi propri. Ma, in realtà, non sono io a battezzarle; sono loro che lo fanno. Io mi limito a sentire il nome che vogliono. Se non sento nessun nome...non prendo quella chitarra. Vuol dire che deve andare a qualcun altro. E ogni canzone pure ha la sua personalità e io continuo a giocherellare con accordature e atmosfere fino a che le canzoni non assumono la loro giusta forma.
MB: tornando ai singoli brani, ci sono ancora due canzoni delle quali mi piacerebbe parlare: la prima è 'Goin’ Home'. E’ un sorprendente e commovente spiritual cantato ‘a cappella’…
DML: già, questa canzone è stata influenzata da due diversi miei stimoli musicali. Uno penso sia noto a tutti; l’altro, invece, non credo che molti lo conoscano. Il primo è Son House. La prima volta che ho ascoltato la sua Don’t You Mind People Grinning In Your Face sono rimasto basito. L’altra influenza è il trio Koerner, Ray and Glover. A mio avviso, questi tre ragazzi hanno sconvolto il mondo del folk-blues acustico proprio come la Paul Butterfield Blues Band ha fatto col blues elettrico.
MB: e, infine, la canzone in chiusura che, poi, è anche quella che dà il titolo al disco: 'Break The Chain'. Questa è una canzone speciale per un disco speciale, scritta e interpretata con un ospite speciale: tuo figlio Jesse. È la prima volta, credo, che tu e Jesse (che pure è un musicista, cantautore e cantante) vi trovate insieme in un disco. Qual’è stato il motivo di questa decisione?
DML: da ragazzino, ho subito un abuso da parte di un cugino e una baby sitter. Mi vergognavo, mi sentivo confuso e ferito. Da giovane, non avevo realizzato quanto questo avvenimento avrebbe potuto sabotare la mia vita. Poi, mi innamorai di una ragazza che aveva subito dolori analoghi ai miei, con la quale ebbi una relazione burrascosa che finì con lei che, un bel giorno, tentò il suicidio. Quel giorno, mi telefonò dalla stanza di un hotel; io chiamai la polizia e arrivammo in tempo per fermarla. A causa di tutto ciò, entrambi entrammo in terapia. Sono entrato e uscito dalla terapia diverse volte e per molti anni dopo quel fatto. E ho imparato che, se tu hai subito un abuso, c’è una buona probabilità che anche tu diventi un carnefice. Quando nacque Jesse, mi capitava di tenerlo tra le braccia, di guardarlo negli occhi e mi dicevo che “questo tormento doveva finire”. Ho spezzato la catena dell’abuso che era cominciata nella mia famiglia da chissà quanto tempo. Così, grazie all’amore che provavo per mio figlio sono stato in grado di interrompere questo processo.
Era da un po’ che Jesse e io volevamo incidere qualcosa insieme. Così abbiamo deciso di scrivere e registrare Break The Chain per fare in modo che le persone che hanno subito abusi possano sapere che, anche loro, possono spezzzare questa catena. E che non devono tenersi tutto dentro e che non sono soli. E che i loro figli possono camminare liberi da catene. Non so dirti quante persone sono venute da me, dopo un concerto, dicendomi quanto fossero grate per aver ascoltato quel messaggio. Spero proprio che questa canzone e questo messaggio possano aiutare le molte persone che ancora soffrono per questo tipo di situazioni.
MB: beh, a questo punto, che dici? E' rimasto qualcosa di cui non abbiamo parlato o c’è ancora qualcosa che vorresti dire riguardo a questo disco?
DML: No, direi che abbiamo proprio detto tutto.
Torna ai contenuti