Johnny Winter: Down & Dirty - Macallè Blues

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Johnny Winter: Down & Dirty

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JOHNNY WINTER: DOWN & DIRTY
un film di Greg Olliver
Secret Weapon Films - 2016

Johnny Winter è morto nel 2014. A suo modo è stata una leggenda, prima sul versante più rock del genere poi, sull'accavallarsi degli anni '70 con gli '80, quale sacra icona del blues, dopo la definitiva legittimazione conseguente al suo ingresso, come membro ufficiale, nella Muddy Waters Band. Anche a causa di ciò, il suo pubblico è sempre stato trasversale, ai generi come alle generazioni; ma sempre assai devoto.
Questo film, per volontà di Johnny Winter stesso, appropriatamente intitolato Down & Dirty, ce lo dimostra. È il resoconto puntuale di uno degli ultimi tours, a spasso con la sua band in giro per gli States, l'Europa e l'oriente. Ovunque, schiere di fans adoranti, pile di dischi da autografare, mani protese in cerca di una stretta di mano, ormai non più vigorosa.
Sono gli ultimi tours. Winter è ripreso nel periodo del pieno declino fisico che, ironia della sorte, è coinciso con quello della rinascita psicologica. Carne sulle ossa, poca, come sempre; ma il fisico, ancora visibilmente anoressico, patisce in più la fatica del respiro. L'incedere è ormai ingobbito, incerto, claudicante. Come per il vecchio B. B. King, la sedia sul palco è presenza abituale ma, a differenza dell'ultimo B. B. King, troppo spesso tristemente esibito come una consacrata, mummificata reliquia da processione, una volta sul proscenio e ancorché seduto, Winter ritrova buona parte della vitalità d'un tempo. La narrazione di questo diario on the road è inframmezzata da flashback e stralci di interviste d'epoca. A recitarne l’agiografia, invece, si alternano, Warren Haynes, Billy Gibbons, Joe Perry, James Cotton, Derek Trucks, il fratello Edgard Winter e Luther Nallie, chitarrista e maestro di Johnny. In mezzo a tutto questo toccante srotolarsi di ricordi, ci commuove, su tutti, il personale racconto di Paul Nelson suo ultimo chitarrista che, con coraggio e dedizione, ha liberato Winter dalla schiavitù del metadone raschiando letteralmente e giorno dopo giorno le pillole, privandole via via del loro contenuto, ma continuando a somministrargliele facendogli credere che fossero integre: effetto placebo pienamente riuscito e rivelato, a un sorpreso Winter, a due anni di distanza dall’inizio della “contro terapia”. Tutti frammenti, questi, di una vita vissuta perennemente sulla corsia di sorpasso a pieni di sesso, droghe e rock & roll; una vita vissuta - capiamo meglio ora - forse con qualche rimorso, senza apparenti rimpianti, ma non senza conseguenze.
Stranamente, e a differenza di altri artisti scomparsi, non lascia eredi e neppure epigoni, imitatori conclamati, ma solo il suono nervoso di dita irrequiete e l’aguzzo sferragliare di una slide: entrambi prontamente riconoscibili. G.R.        


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