Laura Rain - Macallè Blues

Macallé Blues
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Laura Rain

Le interviste...
Macallè Blues
incontra Laura Rain

foto: Ingo Rautenberg (per gentile concessione di Laura Rain)
05 gennaio 2021: cantante intensa e carnale, dalla precisa e sicura emissione, di derivazione classica, Laura Rain è l'inatteso gioiello emerso dal quel fecondo e, spesso, misconosciuto terreno di coltura musicale che è stato (e, forse, è ancora!) Detroit. In lei convergono tutti gli umori più tradizionali del soul, del blues e del R&B. L'educato, controllato volume e le profondità emotive della giovane Aretha Franklin, mescolati con la raffinatezza di Marvin Gaye, la potenza di fuoco di Tina Turner, l'estro medolico e funk di Prince. Con quattro album all'attivo (un quinto è programmato entro l'anno!) e una serie di singoli pubblicati durante questo periodo di reclusione da pandemia, è giunto il tempo, per Laura, di farsi strada anche da questa parte dell'oceano.
Quella che segue, è la chiacchierata concessa a Macallè Blues....


 

Macallé Blues: Laura, innanzi tutto raccontaci qualcosa della tua storia personale e di come sono nati i The Caesars…
Laura Rain: nel 2011, per riprendere in mano la mia vita, sono rientrata dalla zona di Los Angeles nella quale mi ero precedentemente trasferita. Nell’estate del 2012, ho incontrato George Friend (chitarrista, produttore e, ora, marito).
L’avevo reclutato al volo per un concerto e, una settimana dopo, ci siamo ritrovati a scrivere insieme; fu lì che mi dichiarò il suo desiderio di fare musica con me.
Per quanto riguarda The Caesars, pensavamo ai molti nomi che, negli anni, erano stati dati ai gruppi. Nessuno aveva mai pensato di chiamarsi, per dire, “Cleopatra of the Blues”; dunque, ecco The Caesars. Se dai un’occhiata alla copertina del nostro secondo album, Closer, lì troverai la vera essenza di Laura Rain And The Caesars. Io seduta in salotto, su una sedia Safari del 19° secolo, tutta avvolta in trame antiche dai luminosi colori esotici. È stato l’album più piratato di tutta la storia dei The Caesars;

MB: tu sei originaria di Detroit, la cosiddetta Motor City, ben nota per aver dato i natali alla gloriosa etichetta Motown Records. Quando si parla di storia della musica però, non so bene perché, Detroit non è mai così menzionata quanto lo sono altre città come New Orleans, Chicago o Memphis. Ma, se diamo un’occhiata al suo passato, scopriamo che Detroit, al pari delle altre città citate, è stata la culla della musica americana, considerato che ha dato un proprio contributo a tutti i generi. Lasciando stare l’era Motown, mi riferisco, più genericamente, al blues, alle big bands, al jazz, al soul, al rock e anche al pop. Ascoltando la tua musica, credo che tu ti possa sentire molto vicina a questa tradizione e credo anche che, in qualche modo, Laura Rain & The Caesars avrebbero potuto venir fuori soltanto da un posto e da tradizioni come questi..
LR: per qualche ragione, e a differenza di altre città dotate di analoghe ricchezze, Detroit non si è mai impegnata troppo per preservare e promuovere la propria tradizione musicale. Molti musicisti hanno imparato direttamente dalla tradizione orale, in maniera quasi tribale. Nel senso che gli anziani hanno tramandato le gemme più preziose alle nuove generazioni. Quasi come mettere assieme un lungo e perduto albero genealogico. L’eredità è tutta lì; ma è come se tu dovessi scavare per disseppellirla e portarla alla luce. E’ un po’ come se, Detroit, avesse dato per scontata la propria tradizione musicale senza rendersi conto, fino ad ora, del tremendo impatto che i musicisti della città hanno avuto sulla musica americana. C’è gente qui che sta cercando di rendere Detroit un’autentica meta musicale. Come per la musica, anche per il proprio circondario fatiscente, Detroit ha una triste e consolidata attitudine a lasciar andar le cose. Tutto questo storicamente; perché oggi, la situazione è quasi ribaltata. La città è stata ristrutturata, rinnovata e sta vivendo un ciclo di costante ingegno, reintegro e sviluppo. Lo spirito di Detroit, l’etica del lavoro e il senso di comunità sono, oggi, rinvigoriti. Detroit sta ritornando, ed è più bella che mai!
MB: tu hai un trascorso da cantante lirica. Come è successo che, dopo studi classici, tu sia approdata ai territori del soul e del R&B?
LR: sì, sono una cantante classica; un soprano verdiano. Mio padre ha sempre avuto una stanza nella quale andava a rilassarsi e a sentire musica nei fine settimana. Quando ero bambina, tutto quello che lui ascoltava era opera. Cantanti come Renata Tebaldi, Maria Callas, Luciano Pavarotti e Leontyne Price sono stati quell’infarinatura che mi ha riempito la vita. Quando lui era al lavoro e io ero con mia madre,  ascoltavamo Chaka Kahn, The Gap Band, Donna Summer, Roberta Flack, Rick James e una gran varietà di altri artisti funk e soul. Non ho scoperto gente come BB King, Buddy Guy, Aretha Franklin, Patti LaBelle e molti altri se non ben più tardi, una volta adolescente. Oggi mi manca quella stanza della musica; un otto tracce a bobina aperta, piastra per le cassette, microfoni, cuffie, giradischi e delle grandi casse! Penso che quello sia stato un po' il mio primo studio di registrazione;

MB: quali erano i generi che eri solita ascoltare da ragazzina?
LR: ascoltavo una certa varietà di rock’n’roll, blues e soul. Digerivo interamente un album ascoltandolo di continuo per settimane, talvolta andando in bici per ore o sdraiata al buio sul pavimento. A volte ascoltavo il medesimo disco per mesi. Ascoltavo, esaminavo le note di copertina, studiavo i testi e fissavo le foto. Mi ci perdevo in un disco. Poi, dopo averlo fatto mio, passavo a un altro. Penso di aver ascoltato The Song Remains The Same (dei Led Zeppelin, ndr) un centinaio di volte. Soltanto durante la tarda adolescenza scoprii la Motown. Stranamente, in casa mia, all’epoca, non c’erano dischi della Motown;
MB: malgrado le radicali differenze tra R’n’B/Soul e l’opera, credo che la tua educazione classica ti sia stata di aiuto al fine di imparare a utilizzare appropriatamente la voce; e,  devo dire che tutto ciò si avverte nel tuo modo di cantare e nel controllo che hai del tuo strumento.….
foto: George Friend (per gentile concessione di Laura Rain)
LR: ho sempre desiderato avere la migliore educazione in fatto di musica ma, onestamente, non ho mai provato alcun desiderio di cantare l’opera, a parte in alcune fugaci occasioni. Non ho mai avvertito quel tipo di richiamo.
Sebbene io mi senta grata per tutto ciò che mi ha insegnato, la mia educazione classica ha sempre rappresentato una forma di conflitto, di battaglia. Non era cosa per me. È inspiegabile, ma tu sai per cosa Dio ti ha chiamato e questo, per me, è la musica soul. Sono lieta che la mia educazione classica abbia preservato le mie corde vocali dalle fatiche e dagli stress dei lunghi tours e degli anni di concerti. Più di una volta mi sono spaventata per la mia voce durante i tours senza tregua nei quali davo tutta me stessa. Non mi sarebbe rimasto un briciolo di voce se non fosse stato per tutte quelle abilità affinate nel corso degli studi. E, per questo, mi sento grata. E quelle lunghe, sostenute note piegate, come il potente respiro che ci sta dietro, vengono da esercizi di voce e fiato ben appropriati;
MB: ora, parliamo un po’ della tua band, The Caesars: presentaci i membri attuali e parlaci del loro background….
foto: George Friend (per gentile concessione di Laura Rain)
LR: cominciamo da George Friend, chitarrista. Come detto, ho incontrato George una volta rientrata da Los Angeles. George ha suonato con artisti del calibro di Janiva Magness, Thornetta Davis, Robert Gordon. Ha una lunga esperienza come performer, autore, produttore e, tra noi, è scattato qualcosa fin dalla prima volta che abbiamo suonato assieme. È il coautore e coproduttore di tutti i nostri dischi. Come ci siamo incontrati, ho subito desiderato mettere in piedi una blues band e lui ha espresso il desiderio di scrivere per la mia voce e andare in tour. George è in grado di suonare nei più vari stili ed è un vero fanatico della musica. Privilegia soprattutto il suono, il ritmo e la semplicità e ha sempre suonato in formazioni a trio durante quasi tutta la sua carriera. Per restare freschi e originali, non disdegna spingere il nostro modo di scrivere verso territori inesplorati.
Poi c’è Jeff Powe, batterista e bassista. Abbiamo incontrato Jeff all’inizio del 2018. È un giovane e talentoso musicista cresciuto suonando in chiesa, qui a Detroit. Fin dalla più giovane età, oltre che cantare, ha suonato batteria, basso e tastiere nella band della chiesa. Anche suo fratello suona; la sua è una vera famiglia musicale! È stato un grande acquisto per il nostro gruppo perché Jeff è colui che porta il feel e il sound con sé; è un musicista naturale, spontaneo e sempre sul pezzo per il tipo di registro che vogliamo offrire ai nostri ascoltatori. Ciò che è naturale e immediato, in musica come in tutto, non dovrebbe costituire una sfida o qualcosa di difficoltoso; e questa è una cosa che, con Jeff, non abbiamo mai provato. Oltretutto, proprio grazie alla sua esperienza con la musica gospel, è abituato a suonare con un cantante ed enfatizzarne il messaggio.
Da ultimo, c’è Jim Alfredson l’organista. Jim è un vero mago delle tastiere; un virtuoso dell’Hammond B3 che ha realizzato un certo numero di registrazioni con la sua band, Organissimo e, inoltre, suona anche musica per sintetizzatore. Nella nostra band abbiamo avuto un certo numero di organisti come Phil Hale e Duncan McMillian, ma Jim è quello che è con noi da più tempo. Ha girato il mondo e ha contribuito a iniettare un bel po’ di energia nella nostra musica. È uno che non dorme mai; sta sempre a registrare, comporre, accordare il piano, partecipare a demo per la Hammond e la Kurzweil. È sempre indaffarato e si sente anche nel suo modo di suonare. Guardarlo lavorare sulla pedaliera dell’Hammond e con la mano sinistra sui bassi mentre suona un assolo, è qualcosa da vedere!
MB: ci sono alcuni aspetti che caratterizzano tu e la tua band. Per primo, ovviamente, la tua voce: come ogni altra cantante soul, tu sei un’interprete intensa ed emotiva con un timbro davvero particolare nel quale si amalgamano l’energia, i toni e i colori di una giovane Aretha Franklin, di Etta James, Tina Turner e perfino Anastasia….
LR: ti ringrazio. Canto per come sento e seguo il mio istinto. Quando scrivo i testi, cerco di seguire le prime idee che, con naturalezza, arrivano. Gran parte delle nostre registrazioni partono dalle prime take vocali o da un primo, leggero arricchimento di ciò che canto mentre scrivo canzoni. Spesso, mi capita di improvvisare pure i testi. È una cosa che mi sembra molto naturale, perché il suono delle parole è sempre molto legato alla fase iniziale, primitiva del comporre. Nel corso degli anni, abbiamo cercato di fare in modo che le parole avessero un senso e molte volte questo ti allontana dalla cruda energia della voce. Un buon esempio di ciò è My Heart is Open tratto dal nostro secondo album Closer. Lì, abbiamo registrato la voce una volta...nel senso che era una vero demo, il primo tentativo di cantare quella canzone. Ci è così piaciuta, che abbiamo deciso di lasciarla esattamente com’era, come si era manifestata quando l’abbiamo scritta;
foto: Ingo Rautenberg (per gentile concessione di Laura Rain)
MB: secondo, la band! Il tuo è un gruppo che dimostra una coesione davvero sorprendente. The Caesars sembrano funzionare come fossero una sola entità completamente al servizio della cantante….
LR: è da quando ci siamo incontrati che mio marito compone attorno alla mia voce. Dice di sentire grooves, cambi di accordo e stili sui quali io andrei alla grande. Credo che lui cerchi proprio di crearmi un mondo musicale all’interno del quale io possa ben inserirmi. Ci sono diverse aree sulle quali lavoriamo come soul ballads, materiale più ballabile, crudo R’n’B, rock, roba vecchia maniera e altra più contemporanea. Questo ci permette di restare freschi durante la scrittura e si spera che inoltre dia, ai nostri ascoltatori, qualche motivo in più di interesse. Sia a me che a lui piacciono epoche e stili musicali diversi e adoriamo suonare immergendoci in tutti questi differenti mondi;
MB: un terzo aspetto, è il sound complessivo! Sebbene, nelle tue precedenti uscite, qualche sezione fiati faceva comparsa, The Caesars sono fondamentalmente un quartetto che sa diventare assai coinvolgente anche senza l’aggiunta dei fiati. E, secondo me, questo è dovuto a una sezione ritmica che, quanto il resto della band, sta molto sul ‘beat’….  
LR: in origine, la band era il classico “organ-trio”: Hammond, chitarra e batteria. A Detroit, questo è stato un tipo di formazione piuttosto comune, nel corso degli anni, essendo storicamente una città molto legata all’heavy jazz e al R’n’B. Negli anni ‘60 e ‘70, locali notturni e lounge bars avevano tutti un organo. Era qualcosa di usuale come lo era stato il pianoforte nei decenni precedenti. Qui da noi, l’organo ha permeato tutta la musica: dal gospel, al rock, al R’n’B. E siccome volevamo anche avere una band che potesse lavorare più giorni a settimana e rendere bene, è stato naturale concepirne una che avesse un piccolo nucleo centrale di base al quale aggiungere, eventualmente e quando possibile, un basso e dei fiati. Inoltre, il fatto di disporre di un organo che svolga anche il ruolo del basso, ci ha aperti alla possibilità di avere due solisti: tastiere e chitarra. Questo ha contribuito a creare un ricco tappeto armonico sul quale cantare.
Nel corso degli anni, la band ha assunto diverse configurazioni con una bella lista di musicisti. Generalmente, ora, suoniamo in quintetto (con il bassista) e, talvolta, negli show più grandi o importanti, aggiungiamo anche i fiati. E se ci sono brani che non rendono quando suonati da un piccolo gruppo, ciò può essere dovuto alla canzone o allo stile specifico di quella canzone, ma può costituire sicuramente un problema. Così, proviamo sempre a suonare dal vivo tutto il nostro repertorio per capire cosa funziona e cosa no. È buffo perché, a volte, già in trio, siamo in grado di suonare il 90% di tutto quanto abbiamo registrato e ciò è la dimostrazione di quanto questo tipo ridotto di formazione possa essere potente ed efficace;
MB: a essere onesti, ci sarebbe anche un altro aspetto: i testi! Tu hai sempre registrato brani inediti e assai interessanti...
LR: beh, ciò che scrivo viene da cuore, istinto e feeling. George, poi, aggiusta le mie parole perché, a volte, possono suonare un po’ insensate e non troppo chiare rispetto a quanto avrei voluto esprimere. Dunque, talvolta, lavoriamo sui testi; altre volte li lasciamo così come nascono. Amiamo la fase creativa dello scrivere musica e canzoni. Il brivido di ascoltare qualcosa che ci piace prendere forma, è un’esperienza davvero speciale che deriva proprio dalla realizzazione, dal compimento della canzone stessa;
MB: agli esordi, tu e la tua band mescolavate principalmente soul, blues, funk and R’n’B. Non siete stati i primi a proporre quel mix ma, soprattutto se si ascoltano i tuoi dischi più recenti, si avverte un certo approccio personale che emerge dalle tracce. Come ti sembra che il tuo stile si sia sviluppato nel corso degli anni e qual è la direzione che la tua musica pensi abbia preso alla fine?
LR: beh, penso che qualsiasi artista si trasformi strada facendo. Perché voler essere sempre uguali a come si era prima? Quella non è arte, ma stagnazione.
Guardo a tutti i nostri album come fossero dei quadri. Una volta che il lavoro è completato, puoi trovare ispirazione per il prossimo. Prendi pezzi di ciò che ti piace e crei un tutt’altro tema. Con il primo album, c’è un certo bagliore giovanile di cui magari non riesci più a riappropriarti. Però, sono assolutamente convinta, che il meglio debba ancora venire. Per me, onestà e spontaneità sono ciò che guida il processo artistico. Sono sempre rimasta fedele a me stessa. Questa è la soul music. E sto dando tutto di quanto sono ora. Fondamentalmente, siamo ancora un ‘organ trio’ e questo non cambierà.
Penso che l’intero processo di scrittura delle canzoni si sia ottimizzato nel corso degli anni. Il più delle volte, il modo in cui creo assomiglia alla scrittura automatica. Mi sintonizzo sul canale e spero che non ci siano troppi disturbi. È qualcosa che arriva da un posto diverso e che prende contatto con me. Questo è il modo in cui sento che, oggi, la musica si manifesta attraverso me;
MB: adesso parliamo dei tuoi ultimi singoli. Ce ne sono tre usciti al momento (fine di ottobre, ndr): ‘The Deal’, ‘Different State Of Mind’ e ‘Soul Creature’. Paragonati alle tue precedenti uscite, qui si sente un sound molto più moderno, mescolato anche con un po’ di elettronica…..
LR: in realtà, stiamo già per realizzare il quinto singolo, dunque ti terrò aggiornato;
MB: in ‘The Deal’ e ‘Soul Creature’ si sente anche un certo suono alla Prince tra le righe…..
LR: sì, un po’ di quel funky e vecchio R’n’B che ti fa star bene. Lo adoro!
MB: nella tua discografia, il blues inteso in senso canonico, è stato solo una presenza occasionale ma, in ‘Different State Of Mind’ si avverte un forte ‘bluesy feel’….
LR: sì, Different State Of Mind è un qualcosa che bussa forte alla porta della comunità blues globale. La nostra musica è sempre stata un mix di blues, funky blues, soul vecchio stile e R&B. Quello è ciò che suoniamo. Quello è ciò che sono io.
Ci piace scompaginare un po’ la nostra musica e lasciare che le canzoni ci portino dove vogliono andare. Siamo consci del fatto che ci troviamo in un mondo dove la gente è ossessionata da ciò che è calzante o meno rispetto ai propri gusti e abitudini. Ci é stato di aiuto il non preoccuparsi troppo dei generi, soprattutto quando ci sono così tante persone che potresti pensare che siano fans sfegatati del blues più tradizionale e che, invece, poi, si lasciano catturare da canzoni che, propriamente blues, non sono.
Spesso suoniamo nel club di Buddy Guy a Chicago e i nostri show, lì, dicono qualcosa tanto al pubblico quanto alla famiglia Guy. Buddy ha cantato tante volte con noi e adora la band. Continuano a scritturarci  e ci trattano tutti bene. È una fortuna. La mia idea è che anche il più incallito tra i blues fans abbia l’apertura mentale adatta per accettare la nostra musica per quel che è;
MB: ci saranno altri singoli in uscita nei prossimi mesi e, se sì, confluiranno poi tutti in un unico nuovo disco?
LR: stiamo realizzando una campagna che prevede l’uscita di un singolo al mese e, oggi, siamo circa a metà strada. Il nostro obiettivo è quello di arrivare ad avere otto singoli a campagna terminata. E dovremmo avere anche un nuovo disco pronto per il 2021. Una fusione delle due cose è possibile, ma non abbiamo ancora deciso nulla;
MB: se dovessi dare uno sguardo a tutta la tua discografia, qual è il disco che sentiresti più vicino a te, quello che meglio di altri, rappresenta Laura Rain?
LR: in ogni album, ci sono canzoni che, a mio avviso, risaltano sulle altre; ma sono tutte, ugualmente, parte di me. Ad ogni modo, il nostro secondo disco, Closer, in particolare, trovo che contenga tutte le nostre radici più pure e veraci e, quando lo ascolto, direi che suona ancora particolarmente bene.
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