Mat Walklate - Sea of blues - Macallè Blues

Macallé Blues
....ask me nothing but about the blues....
Vai ai contenuti

Mat Walklate - Sea of blues

Recensioni

Il disco raccontato da...

Mat Walklate

MAT WALKLATE

"Sea of blues"

Autoprodotto (UK) - 2018

Could have been/Playing with myself boogie/The sun never shines/So deep in trouble/Exactly what you need/Swimming pool/Modest man/Rivers of Jordan-Get ready/Out of the sun/Answer your phone/Dubbed and burning

    
Armonicista, autore, cantante, didatta, il britannico Mat Walklate mescola il proprio blues, di estrazione tipicamente tradizionale, con influenze derivanti non soltanto dai vari interpreti del genere, ma pure intercettando influssi legati al folk a lui più prossimo. In questo suo nuovo disco, in parte acustico, in parte moderatamente elettrico, si spinge anche oltre, fino a toccare i territori del reggae, dello ska, della bossanova, pur mantenendo sempre connotazioni chiaramente riferibili, sebbene in via mediata, al blues.
A differenza del suo precedente 'Kicking Up The Dust' (già qui recensito), inciso in coppia col chitarrista Paolo Fuschi, 'Sea Of Blues' lo vede in solitaria quando non affiancato, in base al contesto, da diversi comprimari.
E di questo nuovo disco si parla nell’intervista che segue….

Macallè Blues: prima di tutto Mat, partiamo dal generale. Dacci un’idea di quella che è la tua storia come musicista: quando hai cominciato a suonare e quali sono state le tue principali fonti di ispirazione all’epoca dei tuoi esordi?
Mat Walklate: ho cominciato a suonare l’armonica all’età di sedici anni dopo aver ascoltato, per la prima volta, Sonny Boy Williamson II. All’inizio, i miei principali ispiratori sono stati musicisti come Sonny Boy, Howling Wolf, Muddy Waters, John Lee Hooker, Jimmy Reed etc.
MB: a proposito del tuo modo di suonare direi che, malgrado vi si possano riscontrare influenze riferibili ai principali maestri del passato, penso che tu abbia uno stile piuttosto personale. Però, ho una curiosità: se dovessi farlo tu, come definiresti il tuo stile?
MW: devo dire che io cerco sempre di suonare in maniera inventiva, evitando di ricorrere a clichés. Certamente, sono e sono stato influenzato e ispirato dai molti armonicisti dell’intera storia del blues, noti e meno noti: da Jaybird Coleman a James Cotton. Ma ho tratto ispirazione anche dal jazz e dalla musica africana; inoltre, suono anche musica tradizionale irlandese con armonica, flauti e cornamuse. Dunque, nella mia musica, puoi ritrovare anche un pizzico di tutte queste influenze;
MB: nel recente passato, ti abbiamo conosciuto attraverso il duo che hai formato col chitarrista italiano Paolo Fuschi, col quale hai registrato il tuo precedente disco. In quest’ultimo, invece, Paolo è presente solo occasionalmente come ospite o coautore di alcuni brani. Cos’è successo? Il duo si è sciolto o ci sono progetti individuali diversi dietro questa scelta?
MW: attualmente sto lavorando, come duo o come band, sia con Tom Attah che con Alex Haynes. Tra l’altro, l’ultimo album di Alex, artista che calca regolarmente i palchi italiani, è uscito proprio per l’etichetta milanese Apaloosa Records. Anche Tom sarà in tour in Italia il prossimo aprile, con una sezione ritmica locale;
MB: a proposito di 'Sea Of Blues', partiamo proprio dal titolo. Appena sono venuto in possesso del cd, a causa del titolo stesso, pensavo che quel “mare” (“sea”) lì citato fosse un riferimento quantitativo e avesse a che fare col fatto che il disco conteneva parecchio blues. Una volta ascoltato, però, e visto il suo contenuto reale, ho cominciato a pensare che, forse, la vera ragione di quel titolo non fosse necessariamente riferita all’idea di quantità. In un certo senso, il mare è quell’elemento che, allo stesso tempo, separa e unisce le terre.
Dato che questo disco contiene tanto blues tradizionale quanto, sebbene proposti mantenendo un indubbio blues feeling, anche brani con influenze diverse e lontane dalla forma blues più ortodossa, il “sea” del titolo potrebbe essere considerato, figurativamente parlando, quell’elemento che separa e unisce tutte le varie influenze presenti nel disco? Quale di queste interpretazioni è quella più prossima al vero?
MW: in un certo senso, sì: l’idea che sta dietro al titolo Sea Of Blues è che il mare è così vasto e infinitamente vario. Caldo, poco profondo come quello tropicale o grosso e agitato come quello antartico; così come il blues. Ciò che volevo era, dunque, registrare un disco che riflettesse la grande varietà stilistica ed estetica di questa musica;
MB: come già altri tuoi dischi, 'Sea Of Blues' è fondamentalmente un album acustico sebbene, qua e là, compaiano musicisti aggiuntivi, anche in versione elettrificata: il contesto acustico è quello che preferisci, dunque?
MW: alcuni brani sono puramente acustici e del tutto privi di amplificazione; in altri, invece, l’armonica è amplificata così come chitarra e basso. In realtà, non ho poi questa spiccata predilezione per l’acustico: mi piace suonare sia in elettrico che in acustico;
MB: questo disco mette insieme la tradizionale genuinità dei vecchi maestri con una personale, ma non necessariamente moderna, visione del blues. Un chiaro esempio della tradizione è rappresentato dall’unica cover qui presente che è un meraviglioso rifacimento solitario, con armonica e voce, di 'River Of Jordan/Get Ready', brano commovente che parla di redenzione..…
MW: ti ringrazio! Io cerco sempre di essere creativo e il più originale possibile, ma non dialogo molto con le moderne tecnologie come campionatori e computer. Dunque, il materiale che interpreto o scrivo, ha sempre un che di tradizionale;
MB: altro esempio di blues acustico tradizionale, chitarra e armonica, è 'The Sun Never Shines', uno di quei brani che vedono protagonista un altro talento della chitarra come Tom Attah….
MW: Tom è un musicista fantastico. Questo brano è stato sviluppato partendo dall’ascolto di una canzone di Charley Patton;
MB: e poi c’è 'So Deep In Trouble', brano dove si può avvertire un certo sentore di Muddy Waters...
MW: sebbene questo brano sia elettrico e piuttosto crudo, l’ispirazione l’ho tratta da una canzone di Garfield Akers intitolata Cottonfield Blues. Adoro questo brano ma, piuttosto che rifarlo tale e quale, ho pensato di riscriverne il testo, la melodia e aggiungere l’armonica;
MB: poi ancora, ci sono un paio di brani che hanno un ché di speciale. 'Dubbed And Burning' è un reggae che mantiene, però, una forte impronta blues grazie alla tua armonica cromatica…
MW: essenzialmente, questa è la versione reggae di un vecchio standard, Keep Your Lamp Trimmed And Burning. A Manchester, abbiamo alcuni meravigliosi musicisti caraibici e, due di questi, Calypso George e Bo Lee, hanno dato il proprio fondamentale contributo allo realizzazione di questo brano;
MB: e che mi dici di quello ska-blues che è 'Modest Man'?
MW: la genesi di Modest Man è interessante. Grazie a una compilation americana di registrazioni sul campo (field recordings, ndr), mi capitò di ascoltare una canzone, I’m Dying Mother cantata, nel cosiddetto stile Old-Time/Mountain Music dei monti Appalachi, da un musicista bianco. La melodia era talmente bella che decisi di prenderla in prestito, scrivere un nuovo testo e registrarla a mo’ di ska;
MB: 'Exactly What You Need', con le sue percussioni, suona quasi come un inusuale funk acustico a là James Brown….
MW: già, è un funk mono accordo. Anche questa canzone è stata inizialmente ispirata da una registrazione sul campo fatta in una prigione americana, Whoa Back, e tratta dall’album Murderers’ Home, registrato dai Lomaxes;
MB: e ora passiamo alle sorprese: in questo disco non solo suoni differenti tipi di armonica, ma anche flauti e pifferi, donando a brani come 'Answer Your Phone', per esempio, un qual certo sapore irlandese…..
MW: in realtà, con questa canzone volevo rendere onore alla tradizione del North Mississippi Fife & Drum e ad alcuni suoi esponenti come Ed Young, Otha Turner e Napoleon Strickland;
MB: invece, 'Out Of The Sun' è un brano jazzato con influenze brasiliane che mantiene, nella seconda parte, una certa impronta blues. Qui, ci dai anche un assaggio delle tue doti di 'crooner' senza, tuttavia, risultare fuori luogo rispetto al resto del disco..…
MW: Paolo Fuschi ha scritto una sequenza di accordi che suonavano come una bossanova blues e io ho scritto e aggiunto il testo. Questo è, con tutta probabilità, il brano più delicato dell’intero disco;
MB: da ultimo, ma non meno importante, la strepitosa 'Playing With Myself Boogie', uno strumentale dove, in piena solitudine e con la maestria di un Little Walter, suoni differenti tipologie di armonica sovraincidendole e realizzando, così, tanto la trama armonica quanto la melodia. Come ti è venuta l’idea di sovraincidere tutte quelle armoniche creando un effetto sonoro simile a quello di un’intera orchestra?
MW: sono, senza dubbio, la prima persona ad aver fatto una cosa simile. Le moderne tecnologie di registrazione ci permettono, oggi, la realizzazione di tracce di questo tipo. Avevo già fatto qualcosa di simile in passato e mi piaceva l’idea che diverse armoniche potessero dialogare giocando il ruolo del basso, della chitarra e così via. In questo brano ci sono sette parti diverse di armonica, compresa l’armonica basso, l’armonica ad accordi, armoniche diatoniche in diverse tonalità e un’armonica cromatica;
MB: c’è un ultimo aspetto di 'Sea Of Blues' sul quale mi piacerebbe spendere alcune parole: il Mat Walklate autore. La tua scrittura è molto efficace….
MW: ti ringrazio davvero molto per questo riconoscimento! Il più delle volte la gente non sembra tanto interessata ai testi dei brani blues; concentrano molto di più l’attenzione sulla chitarra, l’armonica o, al più, sul timbro vocale. Ma io penso, invece, che i testi siano importanti. Non sono e non sarò mai un poeta magistrale come Bob Dylan, Leonard Cohen o Neil Young, ma cerco sempre di scrivere dei buoni testi e cantarli al meglio.
Torna ai contenuti