Mindi Abair - No Good Deed
Recensioni
						Il disco raccontato da...
Mindi Abair
						
									MINDI ABAIR & THE BONESHAKERS
							"No good deed"
Pretty Good For A Girl Rec. (USA) - 2019
Seven day fool/No good deed goes unpunished/You better run/Sweetest lies/Good day for the blues/Mess I'm in/Bad news/Movin' on/Who's gonna save my soul/Baby, get it on
								Sassofonista difficilmente etichettabile se non scomodando la maggior parte dei generi musicali umanamente noti, un tempo turnista richiestissima, oggi, Mindi Abair dopo tour e lavori in studio con band e artisti i più diversi (Aerosmith, Backstreet Boys, Duran Duran, Lee Ritenour fino a Bobby Rush e Keb' Mo per citare quelli a noi più affini) si riscopre anche cantante e autrice di razza. Coi suoi ultimi quattro dischi, incisi con la sua attuale band, The Boneshakers, e in particolar modo con quest'ultimo, pare aver trovato una più precisa collocazione artistica. Come testimonia anche lei stessa in questa intervista rilasciata a Macallè Blues proprio in occasione dell'uscita del suo nuovo lavoro No Good Deed…..
Macallè Blues: Mindi, 	tu sei una musicista poliedrica e di grande esperienza, ma non sei 	così conosciuta tra gli amanti del blues. Allora, giusto per 	illustrare meglio la tua personalità artistica, diciamo che sei una 	sassofonista diplomata, principalmente radicata nel jazz e anche nel 	pop-rock. Sei stata musicista di studio, turnista, solista. Dunque, 	per conoscerti meglio, raccontaci un po’ come ti vedi, 	musicalmente parlando, e qual è il genere musicale al quale ti 	senti più affine?
 Mindi Abair: fino all’età di cinque anni, sono cresciuta letteralmente “on the road”, con la band soul di mio padre, The Entertainers. E, nei successivi quindici anni, ho passato il tempo nella sala prove di tutte le band rock che ha messo insieme. Da bambina, guardavo costantemente MTV. Volevo cantare come Tina Turner e, non potendo, cercavo di gridare come lei attraverso un sassofono. Ho sempre adorato la graffiante energia di gente come gli Aerosmith e Bruce Springsteen. Clarence Clemons (sassofonista di Springsteen, ndr), per me, è stato impressionante.
 Una volta giunta al college, mi dedicai al jazz. Così, terminata la scuola, mi ritrovai ad avere tutta questa vasto bagaglio di influenze sotto le dita. Quando firmai con la Verve per il mio primo album solista, la mia musica era pop strumentale. Possedeva anche elementi di jazz, ma principalmente si trattava di melodie pop. Veniva classificata come Contemporary Jazz ed ebbi anche un buon successo con quella musica, arrivando in vetta alle classifiche una decina di volte almeno. In quegli anni, però, notai che, ogni volta che mi esibivo al di fuori della mia band ufficiale, suonavo rock o blues. Erano i generi coi quali ero cresciuta e molti dei miei più cari amici erano musicisti rock o blues. Mi capitava di suonare nei loro tour o, come ospite, in qualche canzone nei loro dischi. Ho registrato con Keb’ Mo’, Smokey Robinson e Bobby Rush. Dopo il tour con gli Aerosmith, dopo essere stata scritturata come sassofonista nel serial American Idol per due stagioni e dopo aver vestito anche i panni di uno dei miei idoli, Clarence Clemons, durante una serata con Bruce Springsteen, ho pensato che registrare un album che abbracciasse tutte le mie influenze, dovesse diventare la mia missione. Volevo che venissero fuori il blues e il rock coi quali ero cresciuta e fare un album che mostrasse tutto di me. Ho chiesto ai miei amici di darmi una mano e, così, nacque Wild Heart. In quel disco comparivano come ospiti Joe Perry degli Aerosmith, Booker T. Jones, Keb’ Mo’, Max Weinberg, Trombone Shorty, Waddy Wachtel e Gregg Allman. Quel disco mi ha fatto guadagnare la prima nomination al Grammy Award come “best Contemporary Instrumental Album”. E fu il viatico che mi condusse a far sì che i successivi dischi fossero più rootsy e genuini. Chiesi, allora, a diversi musicisti di unirsi alla mia band. Randy Jacobs fu il primo a essere scelto. L’avevo incontrato quando suonava in una rock band appena arrivai a Los Angeles. In un concerto, nel bel mezzo di un suo assolo, fece una capriola all’indietro, atterrando tra il pubblico senza mai smettere di suonare. Sono una sua fan della prima ora. Mise su la sua band e la chiamò The Boneshakers. Randy è stato un membro dei Was Not Was e della band di Bonnie Raitt. Sono sempre stata una sua fan. Anni dopo, metà della mia band suonava nei suoi The Boneshakers e lui suonava nella mia band. Una sera, partecipai a una session con loro e fu davvero elettrizzante. La musica ha a che fare con l’ispirazione e col rimanere abbastanza ispirati per poter creare. Questa band mi ispira tantissimo: è blues e rock con un pizzico di soul e jazz. Ha lo stesso andazzo della musica con la quale sono cresciuta. Con loro, scendo dal palco ogni sera con la sensazione di aver dominato il mondo. Abbiamo inciso quattro album insieme e tutti hanno avuto successo tanto in radio quanto nelle classifiche blues. La musica, qui, assume confini più ampi; c’è molto spazio per le parti vocali (noi tutti cantiamo!), ma c’è anche molto sax. E’ emozionante, per me, fare musica con le gente che amo e mi sento molto a mio agio col genere di musica che stiamo proponendo adesso;
MB: durante 	la tua carriera, hai avuto la possibilità di collaborare davvero 	con un ampio spettro di artisti che, sorprendentemente, spaziano dai 	Backstreet Boys a Bobby Rush passando per Booker T Jones, Aerosmith, 	Gregg Allman, Keb’Mo, Joe Bonamassa. Quindi, potrei dire che 	versatilità dovrebbe essere il tuo secondo nome….
 MA: sono stata davvero fortunata nell’aver avuto l’opportunità di lavorare con una vasta gamma di artisti e, dunque, con un’ampia gamma di generi musicali. Quando ero al college, suonavo sei, sette sere alla settimana, e con band differenti, per pagarmi l’affitto. Suonavo R&B una sera, cantavo rock un’altra sera, jazz tradizionale la successiva, fusion quella dopo e funk quella dopo ancora. E questa è stata una bella maniera di immergersi in differenti stili e impararli. Mi sento a mio agio nel suonarli tutti e mi piace molto continuare a imparare e a immergermi nella musica. Quando mi sono trasferita a Los Angeles, inizialmente, per vivere, suonavo per strada. Non conoscevo nessuno e volevo suonare e fare ciò che facevo abitualmente. Poi, un giorno, un tastierista jazz di nome Bobby Lyle mi sentì e mi disse “Hey, sei brava! Vorresti suonare nel mio prossimo disco?” Risposi con un sonoro “sì” e finii a girare il mondo con lui per anni. Questa cosa fece da trampolino di lancio e mi diede la possibilità, poi, di suonare con tanti altri artisti come Teena Marie, Jonathan Butler, The Backstreet Boys e Adam Sandler. Avevo solo bisogno che qualcuno mi desse una spinta. E il fatto che io riesca a muovermi agilmente tra rock, R&B e jazz mi ha reso appetibile per tutte queste bands. Mi sembra di essere la somma, il risultato di tutte le mie influenze. Ho imparato tantissimo dall’aver suonato con tutti questi artisti. Mi hanno permesso di trovare un mio posticino all’interno della loro musica. E ho scoperto che davvero sapevo già chi ero come artista nel momento in cui ho firmato il mio primo contratto discografico;
MB: in 	parte conseguenza di ciò, le tue influenze musicali sono state le 	più diverse e questo tuo nuovo album (che è il quarto con la tua 	attuale band, The Boneshakers, ma l’ultimo di una ben più lunga 	lista) lo dimostra in modo molto efficace….
 MA: ti ringrazio per questo. L’album è davvero molto variegato. Abbiamo scelto alcune cover, di artisti come Etta James e i Rascals, e nostri brani originali che vanno dal blues, alla ballata intimista fino al puro rock‘n’roll. Il processo di registrazione è stato incredibile: abbiamo registrato il disco in soli cinque giorni. Musicalmente parlando, tutti noi arriviamo da esperienze diverse, ma ci amalgamiamo assai bene. Come una vera band, ci completiamo gli uni gli altri. Penso che, per molte band, sarebbe stato un suicidio registrare un disco così sfaccettato. Ma, per noi, è stata una cosa naturale. Mi sembra giusto espandere la propria visione e fare in modo che il mondo sappia che questi siamo noi;
MB: The 	Boneshakers, è una specie di all-star band i cui membri sono tutti 	musicisti di grande esperienza, principalmente legati al mondo del 	rock: potresti presentarceli uno a uno, inclusi i loro pedigrees?
 MA: ho conosciuto Randy Jacobs (chitarrista e cantante) quando suonava in una rock band a Los Angeles. Suonavano ogni lunedì in un rock club chiamato The Mint. Il leader della band era Oliver Leiber, figlio del grande Jerry Leiber del famoso duo di autori Leiber e Stoller. Una sera Randy, nel bel mezzo di un suo assolo, fece una capriola all’indietro in mezzo al pubblico e, una volta atterrato, continuò a correre tra il pubblico senza smettere di suonare. Fu un gesto da rock star. Capii in quel momento, che saremmo diventati amici! Dopo quel periodo, Randy mise in piedi la sua band, The Boneshakers. Aveva appena terminato il tour con i Was Not Was e quello con Bonnie Raitt. I Boneshakers erano una band blues/rock ad alta energia. Randy viene da Detroit e ha quello stile funk-rock tipico della città. Nel corso degli anni, abbiamo suonato vicendevolmente nei nostri rispettivi album; inoltre, alcuni dei musicisti della sua band facevano parte anche della mia. Così è sembrato assai naturale guardarci in faccia, a un certo punto, e decidere di unire le forze musicalmente parlando.
Rodney Lee, il tastierista, è nella mia band da diciassette anni. Lui è un cervellone, con un master in ingegneria informatica. Molti anni fa, però, ha deciso che progettare microprocessori non lo rendeva felice abbastanza e che lo sarebbe stato molto di più suonando le sue tastiere e il suo Hammond. Adoro il suo modo di suonare; è una sorta di mix tra Herbie Hancock, un organista da chiesa e il musicista più funky che tu possa mai aver ascoltato. E’ il tipo più musicale che ci sia al mondo; sa sempre cosa suonare e quando suonarlo. Ha anche una sua band, molto figa, chiamata The Satellite Orchestra con la quale suona musica elettronica. Inoltre, ha anche questo progetto chiamato Groove Kid Nation col quale registra appassionanti dischi per bambini.
Third Richardson, il batterista, suona nella mia band da ormai otto anni. E’ della mia città natale, St. Petersburg, Florida ed è proprio come un animale selvaggio, uno di quelli che incateni, ogni sera, alla batteria e lo lasci andare! Ha energia, vigore e fuoco quando suona. Suonare con lui è ispirante. E, oltretutto, è anche un gran cantante! E’ quello che duetta con me in Baby, Get it On.
Ben White, il bassista, è il nostro membro più giovane. Suona con noi da quattro anni. Musicalmente parlando,viene dal rock e dall’heavy metal. Porta anche lui tanta energia al gruppo e, col basso, può far qualsiasi cosa. E’ quello con la miglior pettinatura del gruppo tanto che è soprannominato da noi “Hotcomb” White;
Rodney Lee, il tastierista, è nella mia band da diciassette anni. Lui è un cervellone, con un master in ingegneria informatica. Molti anni fa, però, ha deciso che progettare microprocessori non lo rendeva felice abbastanza e che lo sarebbe stato molto di più suonando le sue tastiere e il suo Hammond. Adoro il suo modo di suonare; è una sorta di mix tra Herbie Hancock, un organista da chiesa e il musicista più funky che tu possa mai aver ascoltato. E’ il tipo più musicale che ci sia al mondo; sa sempre cosa suonare e quando suonarlo. Ha anche una sua band, molto figa, chiamata The Satellite Orchestra con la quale suona musica elettronica. Inoltre, ha anche questo progetto chiamato Groove Kid Nation col quale registra appassionanti dischi per bambini.
Third Richardson, il batterista, suona nella mia band da ormai otto anni. E’ della mia città natale, St. Petersburg, Florida ed è proprio come un animale selvaggio, uno di quelli che incateni, ogni sera, alla batteria e lo lasci andare! Ha energia, vigore e fuoco quando suona. Suonare con lui è ispirante. E, oltretutto, è anche un gran cantante! E’ quello che duetta con me in Baby, Get it On.
Ben White, il bassista, è il nostro membro più giovane. Suona con noi da quattro anni. Musicalmente parlando,viene dal rock e dall’heavy metal. Porta anche lui tanta energia al gruppo e, col basso, può far qualsiasi cosa. E’ quello con la miglior pettinatura del gruppo tanto che è soprannominato da noi “Hotcomb” White;
MB: venendo 	al disco, la prima impressione che si ha è quella di avvertire una 	buona intesa e un buon equilibrio tra il tuo sax e la chitarra di 	Randy. Il modo di suonare di entrambi è orientato ai brani 	piuttosto che a sprecare energie in esercizi ginnici sullo 	strumento. E anche quando voi vi lanciate in un assolo, lo fate con 	un gran senso della misura, di interezza e di musicalità, senza mai 	sovrastare la canzone, ma aggiungendo a questa del tessuto….
 MA: Randy Jacobs e io abbiamo suonato insieme per più di vent’anni. C’è una grande intesa tra noi, tanto sul palco quanto fuori. E sento proprio di poter suonare frasi e sentirmi una cosa sola con lui. Per quanto riguarda gli assolo, entrambi amiamo la struttura di un brano e a nessuno di noi due piacciono gli assolo stravaganti da dieci minuti. Così, ogni volta, ci assicuriamo che gli assolo che suoniamo siano parte integrante della canzone e si inseriscano bene nella canzone al punto tale da rinforzarne la struttura;
MB: e 	direi che avverto quel senso per la canzone anche nel tuo modo di 	cantare così come nel tuo modo di scrivere….
 MA: grazie! Ho sempre creduto che l’unico modo per rendere un disco più autentico e più personale fosse attraverso la scrittura. Un album dovrebbe essere la fotografia del punto esatto della tua vita in cui ti trovi. I testi o le melodie o il ritmo dovrebbero riflettere questo. Quando entriamo in studio, sia io che i ragazzi diamo tutto per la canzone;
MB: analoga 	cosa potrei dire sia per gli arrangiamenti e per la band che svolge 	un eccelso lavoro di supporto! Suppongo che, in parte, ciò sia 	dovuto anche all’orecchio e alla visione musicale di un produttore 	stellare come Kevin Shirley, giusto?
 MA: la band, a questo punto, è davvero ben amalgamata. Ci conosciamo davvero bene e sappiamo bene quali sono le qualità musicali che ognuno ha. Quando decidiamo una canzone per il disco, la suoniamo e cerchiamo di trovare la nostra dimensione, il nostro spazio al suo interno. Pensiamo a come potremmo darle vita e a come raccontare musicalmente quella storia. Kevin Shirley è stato davvero un incredibile produttore per noi. Non è il tipo che è lì per farti suonare come lui pensa che tu debba suonare. E’ il tipo, invece, che fa uscire il meglio da ogni band con cui lavora. Fa in modo che la band arrivi a trasformare in suono quelli che sembrano essere semplici suggerimenti riguardo all’approccio o alla forma. E’ una forza della natura ed è davvero una grande botta d’energia lavorare con lui. Lui adora il fatto che, in studio, tutto viene fuori in un sol colpo ed è proprio quel tipo di energia che trascende fino a creare il suono;
MB: in 	questo disco, ritroviamo anche un altro punto di equilibrio: quello 	tra ben scelte covers e brani inediti (e, devo dire, che tu sei 	anche un’ottima autrice!). Cosa ti ha indotto a scegliere le 	covers che troviamo nel disco?
 MA: siamo arrivati in studio con qualche idea riguardo alle cover. Generalmente, in un disco, suoniamo soltanto una cover e il resto è materiale originale. Ma, questa volta, avevamo così tante buone idee per le cover! Voglio dire… Seven Day Fool di Etta James è un gran divertimento suonarla e questa band la rende a meraviglia. E quando la facciamo dal vivo, raggiunge anche ben altri livelli! Poi, Kevin Shirley se ne è uscito con You Better Run dei Rascals che è stato un grosso hit in America negli anni ’80 pure per Pat Benatar. Abbiamo suonato quella canzone la prima volta, a Seattle, giusto per provare e ha funzionato!
MB: parlando 	ancora di covers, l’album si apre e si chiude con due di queste: 	quello iniziale è uno spensierato brano di Etta James, 'Seven Day 	Fool' e ciò che rende meravigliosa questa vostra versione, per me, è 	l’idea di utilizzare le tastiere col suono degli archi, donando al 	brano una vaga atmosfera Motown da anni ‘70…..
 MA: grazie! Seven Day Fool è uno di quei brani meno noti di Etta James, ma è, purtuttavia, anche una canzone davvero divertente. Gli archi in stile Motown aggiungono un ché di sexy, direi, e quei quattro quarti tenuti dalla cassa della batteria fanno girare il pezzo a mille!
MB: il 	brano in chiusura, invece, è 'Baby Get It On', di Ike & Tina 	Turner. In questo, tu ricopri il ruolo di Tina e Third Richardson, 	il batterista, quello di Ike. Qui, riuscite a ricreare quella stessa 	energia rock tipica di Ike & Tina anche con l’aiuto di due 	altri eccezionali ospiti ai fiati come Lee Thornberg e Paulie 	Cerra..…
 MA: io sono una grande fan di Tina Turner. Avrei sempre desiderato avere le sue gambe e la sua voce. Adoro il suo modo di fare. Ho trovato, su Youtube, un video del 1975 di questa canzone registrato al The Cher Show. Me ne sono innamorata e ne ho parlato ai ragazzi: affare fatto. E’ un brano davvero perfetto per il sax e per i fiati. Lee Thornberg aveva già suonato in altri miei dischi nel corso degli anni. Dal vivo, terminiamo i concerti con questo brano con tutto il pubblico che balla e suda!
MB: tra 	queste due covers, ne troviamo anche altre come 'You Better Run' dei 	Young Rascals e 'Good Day For The Blues', associato principalmente a 	Ruth Brown; ma ora vorrei parlare dei brani originali perché, come 	ho detto prima, questo disco dimostra anche le tue abilità di 	autrice con diversi brani. L’incalzante 'No Good Deed Goes 	Unpunished', 'Mess I’m In', la torrida e blueseggiante 'Bad News' che 	richiama la Fever di Little Willie John e il rock deciso di 'Movin’ 	On'. Ma i brani più profondi sono, senza dubbio, i due lenti, 	intensi 'Sweetest Lies' e 'Who’s Gonna Save My Soul'. Specialmente 	quest’ultimo, è un brano molto bluesy, una ballata drammatica e 	intensa…..  	
 MA: io adoro scrivere. E’ la cosa che mi permette di tirar fuori le mie paure, il mio amore, la mia felicità e tutto ciò che sta nel mezzo. No Good Deed Goes Unpunished è stata scritta da me e dal mio amico pianista Dave Yaden. Inizialmente, infatti, doveva essere un brano a cappella piano e voce. E invece, con la band, si è trasformato in una specie di inno! Who’s Gonna Save My Soul?, invece, è stata scritta da me insieme al mio amico Tyrone Stevens. Sia io che lui, nel corso degli anni, abbiamo visto così tanta gente toccare il fondo. Non avevo mai scritto una canzone da questo tipo di  prospettiva e, alla fine, è diventata uno dei brani più potenti del disco;
MB: in 	conclusione e per riassumere un po’, saresti d’accordo se 	dicessi che questo disco, che oscilla tra ruvido blues e rock 	energetico, suona molto come un riassunto di ciò che è Mindi 	Abair?     	
 MA: grazie per queste sorprendentemente ponderate domande. Devo dire che adoro il disco per come è venuto; è deciso, determinato e bello spavaldo. Ma possiede anche quella tenerezza e quella sincerità  che, ritengo, diano il giusto senso di un viaggio attraverso la musica. Sono contenta che ti sia piaciuto. Quando registriamo un disco, lo facciamo sperando sempre che agli altri possa piacere almeno quanto piace a noi! Dunque, alzate il volume e ascoltatelo a piene casse!