Thornetta Davis - Macallè Blues

Macallé Blues
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Thornetta Davis

Le interviste...
Macallè Blues
incontra Thornetta Davis

per gentile concessione di Frank Roszak

22 marzo 2017: autrice schietta, cantante dal taglio potente e cristallino, con una lunga carriera di corista alle spalle che l'ha vista prestar voce, tra gli altri, al leggendario Bob Seger e a Kid Rock, Thornetta Davis torna sulla scena discografica a distanza di vent'anni dal suo vero esordio e lo fa con un nuovo disco, Honest Woman, benedetto dal vigore e dalla creatività ritrovati e dalla presenza di alcuni ospiti speciali come Kim Wilson e Larry McCray. Quella che segue, è la chiacchierata (un grazie a Frank Roszak) concessa a Macallè Blues.


Macallè Blues: E’ davvero una bella sorpresa ritrovarti oggi, con il tuo secondo disco Honest Woman, uscito a ben vent’anni di distanza dal tuo debutto Sunday Morning Music: cos’è successo in tutto questo tempo?

Thornetta Davis: Diciamo che, negli ultimi dieci anni almeno, ho fatto parecchi concerti e qualche tour in Europa toccando anche l’Italia e, in realtà, ho anche inciso un altro cd live, uscito nel 2000, intitolato Covered Live.
MB: Non è così inusuale nel blues trovare artisti che hanno dovuto attendere anni per avere un po' di notorietà, qualche riconoscimento o, addirittura incidere un primo disco. La tua amica e mentore Alberta Adams ne è un chiaro esempio. Sebbene fosse nata nel 1917 e malgrado avesse lavorato, come vocalist, con Duke Ellington, Eddie Vinson, Louis Jordan, etc., incise il suo primo disco solista alla fine degli anni ’90. Come l’hai conosciuta e quanto è stata importante Alberta Adams per te e la tua carriera?
TD: Incontrai per la prima volta Alberta verso la fine degli anni ‘90. A quell’epoca lei si esibiva in un club after hour di Detroit e fui subito rapita dalla sua inesauribile energia. Aveva già passato i settant’anni e, alle tre del mattino, aveva ancora la forza per stare sul palco a ballare. Alberta non è stata solo una fonte di ispirazione per me, ma la persona che mi ha aiutato a capire che avrei potuto cantare il blues, anche a modo mio.

MB: Tu vieni da Detroit che, malgrado i vari John Lee Hooker, Johnny Bassett, Eddie Burns e non molti altri, non è proprio proprio la prima città che salta in testa pensando al blues. Che genere di musica eri solita ascoltare da giovane?

TD: Beh, essendo di Detroit, quando ero bambina la musica che andava per la maggiore, anche in casa, era quella della Motown. Ma, una volta cresciuta, cominciai ad ascoltare funk, R&B, jazz e molta soul music. I miei cantanti e gruppi preferiti erano Gladys Knight, Al Green, Aretha Franklin, Earth Wind and Fire, Nina Simone, Phyllis Hyman, Angela Bofill. Poi, a Detroit c’erano The Dramatics e The Jones Girls. Ho cominciato successivamente ad ascoltare il blues, verso la fine degli anni ’80, quando mi proposero di unirmi a un gruppo chiamato The Chisel Brothers. Nel momento in cui me lo chiesero, mi dissero anche che loro non suonavano hits di R&B, ma solo blues e soul: così iniziò la mia carriera di blues singer.

MB: Com’è che, invece, il tuo primo disco era più sbilanciato, diciamo così, verso il rock?

TD: Il mio primo cd, del 1990, in realtà fu proprio quello omonimo con The Chisel Brothers e intitolato The Chisel Brothers featuring Thornetta Davis. In qualità di vocalist, ho sempre avuto molte richieste da parte di rock band. La band dei Big Chief, per esempio, incideva per la SubPop Records. Ai tipi della SubPop piacevo come cantante e così mi chiesero se fossi interessata a incidere un disco solista con alcuni dei musicisti dei Big Chief come produttori. Così nacque Sunday Morning Music.
MB: La maggior parte delle canzoni incluse in Sunday Morning Music furono scritte da te, ad eccezione di una cover ripresa da Stevie Wonder, You Haven’t Done Nothing. Malgrado fosse principalmente un disco di urban rock con rimandi a Lenny Kravitz, Black Crowes finanche ai Living Colour, buona parte dei testi e pure il titolo ricordavano qualcosa di “spirituale”, per così dire. Quale fu la principale fonte di ispirazione per quelle canzoni?
TD: All’epoca fui molto onesta con i tipi della SubPop e dissi chiaramente che io non ero una cantautrice. Chiesi, dunque, la loro disponibilità a procurarmi un autore per i testi. Dopo circa quattro mesi, la band aveva terminato di lavorare alla musica del disco, ma ancora non avevo le canzoni perché mi mancava l’autore. Così, alla SubPop mi diedero l’ultimatum: ora o mai più. Allora, cominciai io a scrivere i testi partendo dalla relazione che stavo vivendo all’epoca, che non era una relazione propriamente sana. Per alcune delle canzoni ho poi collaborato con Al Sutton e M.E. Johnson.
MB: Sia prima che dopo aver inciso il tuo primo cd, hai collaborato come corista, con quella leggenda del rock e grande autore che è Bob Seger, anche lui di Detroit, così come con quell’altra rock star figlia della motor city che è Kid Rock, entrambi artisti tra loro profondamente diversi. Come ti è accaduto di avere a che fare con loro?
TD: Un giorno mi chiamò il manager di Bob Seger chiedendomi di partecipare come corista al suo nuovo disco e io fui ben felice di accettare. Kid, invece, lo incontrai quando fu chiamato a produrre un pezzo per il mio primo cd. Allora, lui era già solito bazzicare nei miei stessi studi di registrazione cercando di far pubblicare la sua musica. Quando cominciò a registrare il suo terzo disco, Early Morning Stone Cold Pimp, mi chiese di prendervi parte come corista.
MB: Ora parliamo un po’ del presente. Il tuo nuovo cd Honest Woman è abbastanza diverso dal tuo primo Sunday Morning Music. In Honest Woman, blues moderno, R&B, soul e pure il gospel fanno chiaramente capolino tra le tracce. Sembra quasi che questo disco rappresenti il tuo viaggio di ritorno alle radici; non è così? Hai provato qualche particolare spinta interiore nell’orientarti in questa direzione?
TD: Quando cominciai a scrivere le canzoni che fanno parte di questo cd, non immaginavo lontanamente che ci sarebbero voluti vent’anni perché potesse vedere la luce. Ho semplicemente continuato a scrivere ed esibirmi durante tutto questo tempo senza preoccuparmi troppo del disco. Pensavo che, una volta messa sotto contratto da qualche etichetta, avrei avuto abbastanza canzoni pronte per il cd. Sebbene io sia nota come cantante blues, mi sento ispirata da e amo ogni genere musicale; ma, il blues, è indubbiamente la mia radice. Ogni volta che mi sento di scrivere una canzone, questa può saltar fuori da un nulla. Può succedere mentre lavo i piatti o mentre guardo la tv: le canzoni vengono fuori all’istante, testo e linea musicale insieme. Scrivo sempre partendo da qualcosa di personale, dalla mia esperienza. Poi canto la canzone alla band, comincio a proporla nei concerti e, col tempo, la canzone si sviluppa fino ad assumere la forma finale, matura, che puoi ascoltare sul cd.

MB: Per Honest Woman hai scelto tutti musicisti fortemente radicati nella tradizione blues. E forse non è un caso che anche due grandi artisti del genere come Kim Wilson e Larry McCray siano della partita. Considerando il suono moderno e robusto di Larry, non sono stupito dalla sua presenza; Kim, invece, è stata un po’ una sorpresa, devo dire. Perchè hai deciso di avere come ospiti questi due bluesmen? Pensavi che il loro suono individuale potesse essere particolarmente confacente alle canzoni nelle quali suonano?

TD: Sono davvero grata per aver avuto l’opportunità di lavorare con alcuni dei più grandi musicisti al mondo. Ho lavorato con alcuni di loro per più di vent’anni. Conosco Larry, per esempio, da venticinque anni. Quando ho scritto Set Me Free sapevo che avrei dovuto avere lui e la sua band a suonare in quel brano. Sapevo che avrebbe dato al pezzo quel bel suono funky-blues che volevo io e l’aggiunta del coro, poi, ha fatto della canzone un gran funky-gospel-blues.
Invece con Kim è andata diversamente. Lo incontrai cinque anni fa qui a Detroit e ci scambiammo i numeri di telefono. Quando ci fu da registrare il disco, provai a testare la sua disponibilità anche se non avevo la possibilità di farlo venire apposta in studio e coprire le spese per il suo biglietto aereo dalla California e ritorno.
foto: Marty Richard
Così, diedi un’occhiata al calendario dei suoi concerti e vidi che aveva in programma un concerto in un luogo a un’ora di macchina da Detroit, così lo ricontattai. Mi rispose dopo una settimana, la sera prima del suo concerto in zona, e mi chiese cosa avrebbe dovuto fare per me. Io gli risposi semplicemente che avrebbe dovuto suonare l’armonica. Il giorno seguente, mentre mi preparavo per andarlo a prendere al suo hotel, stavo canticchiando la mia I Gotta Sang The Blues e, nel cantarla, immaginavo Kim cantare il secondo verso. Così, quando lo caricai in auto, gli chiesi se fosse disposto anche a cantare e lui mi rispose di sì.
MB: Ancora una volta, hai scritto tutte le canzoni del disco, molte delle quali affrontano temi intimi o hanno a che fare con i vari aspetti dei rapporti di coppia (in questo senso penso che Am I Just A Shadow sia davvero un piccolo gioiello!). Ascoltandolo, sembra quasi che quest’album sia particolarmente significativo per te: mi sbaglio?
TD: Questo cd è ben più che una manciata di musica e canzoni: rappresenta il mio personale viaggio verso la conquista della piena fiducia in me stessa e nella mia personale realizzazione. Pensavo di aver bisogno di qualcuno per produrre e far uscire questo cd. E pensavo seriamente che non avrei potuto essere io a farlo, ma solo una vera casa discografica. Ma presto realizzai che, se non l’avessi prodotto io in prima persona, non sarebbe mai uscito.
foto: Dori Sumter
Dovevo credere, allora, che i doni che Dio mi aveva fatto fossero tutto ciò che mi serviva per raggiungere questo obiettivo, anche se avessi dovuto pagare io per ogni singolo brano registrato, canzone per canzone. Come cominciai a registrare i primi pezzi, le cose cambiarono. Le idee iniziarono, via via, a fluire attraverso di me e non feci altro che illustrare ai musicisti tutti e ai cantanti ciò che avrei voluto ottenere e loro non hanno fatto altro che assecondarmi aggiungendo, ognuno, la propria magia.
MB: Che rapporto hai con la chiesa? Il Gospel sembra essere ben presente in Honest Woman!
per gentile concessione di Frank Roszak

TD: Non sono stata educata ad andare in chiesa, ma sono stata cresciuta nella fede in Dio. Solo intorno ai quarant’anni ho cominciato a frequentare la chiesa unendomi a un coro Gospel e quello è stato il momento in cui ho cominciato a scrivere di più. Cantavo già nel coro della chiesa quando ho scritto Feels Like Religion. Ero appena uscita da quella stessa relazione malata di cui ti parlavo prima e per la quale ho scritto alcune delle canzoni contenute in Sunday Morning Music e fu allora che cominciò il mio rapporto con Dio. Capii come Dio era sempre stato presente nella mia vita e come mi aveva aiutato a superarne i momenti più difficili. Non è stato facile, per me, essere una madre single; ma ho sempre avuto sostegno, in questo, dalla mia famiglia: da mia madre, dalle mie sorelle e da mia nonna. Quando mi volto indietro e osservo le tappe della mia vita, sento che tutto ciò che mi ha condotto fin qui seguiva un suo preciso ordine. Questo forza misteriosa mi ha portato dove mi trovo oggi e oggi, devo dire, sento di trovarmi in un bel posto.

La canzone che dà il titolo all’album, Honest Woman, l’ho dedicata al mio attuale marito James Anderson. C’è stato un tempo in cui ero convinta che sarei rimasta una single per sempre e, alla fine, avevo anche accettato quest’idea; ma Dio aveva qualcos’altro in programma per me e portò James nella mia vita.
MB: Un’ultima cosa: il disco si apre con una poesia a te dedicata, When My Sister Sings The Blues, scritta e recitata da tua sorella Felicia Davis. E’ una cosa inusuale e commovente. Come ti sei sentita nell’essere oggetto di una dedica così speciale?
TD: Mia sorella Felicia è la sorella di mezzo: ha quattro anni meno di me e due più dell’ultima sorella Veda. Mi sorella Karen, invece, è la più anziana di tutte. Chiamo Felicia 'sorella angelo' perchè è quella che prega sempre per tutti gli altri anche se è lei che ne avrebbe più bisogno avendo seri problemi di salute. Mi sono sentita onorata del fatto che mia sorella abbia scritto una poesia su di me. Quando me l’ha letta per la prima volta anni fa, ho subito pensato che l’avrei inserita nel mio prossimo disco. Quando le chiesi di registrarla, lei era preoccupata di non riuscire in quanto vive sotto ossigeno e temeva di non aver sufficiente fiato per recitare. Invece penso che abbia proprio benedetto il cd con la sua presenza.

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